“Basta ‘a salute e ’n par de scarpe nove, poi girà tutto er monno” è un motto che ormai entrato nella testa di tutti noi italiani dagli anni ’70, sempre attuale pure oggi anche in tempo di Covid. Tutti noi ormai l’associamo da sempre ad un grande attore, uno di quelli poliedrici che la nostra arte cinematografico-teatrale ha partorito il secolo scorso. Stiamo parlando del grande Saturnino Manfredi, per tutti Nino, nato il 22 marzo 1921 a Castro dei Volsci (Frosinone).
Attore versatile, portava in scena la romanità sia nei ruoli comici che in quelli drammatici, protagonista insieme ad altri giovani dell’epoca di quella stagione apicale, nel panorama mondiale, della commedia all’italiana, raccontando una realtà fatta spesso di povertà ma sempre con l’ironia di chi alla fine, in un modo o nell’altro, riusciva a destreggiarsi fra le vicissitudini della vita.
Insieme a Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Marcello Mastroianni e Ugo Tognazzi ha interpretato l’italianità a 360 gradi, pur essendo forse il più caratterista del gruppo, quello che nella recitazione rappresentava il più “popolano” del gruppo. Come dimenticare Ugo detto “piede amaro” ne L’audace colpo dei soliti ignoti , sequel diretto da Nanny Loy del film di Monicelli, quando il taglio, più vivace del primo film, mette in luce un’interpretazione fortemente guidata dai “caratteristi” tra cui Manfredi (oltre ad un caratterista doc come Tiberio Murgia), lasciando sempre il ruolo di mattatore al grande Vittorio Gasman.
Laureato in giurisprudenza per il solo compiacere i genitori, manifestò da subito una passione per il teatro che lo porterà a diplomarsi, nel 1947, all’Accademia d’Arte Drammatica e ad esordire in quello stesso anno sul palcoscenico.
Ironia sottile, realismo e saggezza popolare sono stati da sempre il suo modo di interpretare in scena i personaggi che via via si presentavano, come nel caso del film In nome del Papa Re di Luigi Magni, nei panni di Monsignor Colombo da Piverno (vincitore del David come migliore Attore nel 1978), quando scandiva sottile ironia e amaro sarcasmo alternati a prediche paternalistiche e presa di coscienza della vita, esprimendo l’emotività di un film che riporta tutte le caratteristiche del classico romanzo d’appendice fine ottocentesco.
Attore, sceneggiatore, regista ma anche cantante di grande successo (Tanto pe’ cantà, una tra tutte), geniale inventore di alcuni “tormentoni” come “Fusse che fusse la vorta bbona” creato per il “Barista di Ceccano” di Canzonissima; per non parlare dell’altro tormentone degli anni ’80 “Più lo mandi giù e più ti tira su” di un celeberrimo spot di una marca di caffè nostrano.
Oggi sarebbero stati cento anni e, la RAI come Sky Arte, omaggeranno l’uomo e l’attore con documentari, film e programmi in ricordo di uno dei più grandi interpreti della quella magnifica stagione italiana quando, per la qualità espressa, eravamo il punto di riferimento del cinema mondiale.
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