Sud Sardegna

SULCIS IGLESIENTE 2000 VS SULCIS IGLESIENTE 2020: È CAMBIATO POCO!

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Tempo fa mi capitò di guardare la registrazione video integrale di una manifestazione sindacal-politica svoltasi a Carbonia non più di una ventina di anni or sono.
Dopo la rituale marcia articolata per le vie della città, nel palco, sistematicamente, si alternavano gli interventi di sindacalisti, lavoratori, disoccupati, rappresentanti politici e istituzionali.
Nel filmato erano presenti anche i compianti Sergio Usai e Antonello Corda (storiche e importanti figure del sindacalismo sulcitano), e numerosi altri protagonisti del sindacato e della politica dell’epoca, alcuni dei quali ancora attivi oggi.

Fra i diversi interventi del filmato, in particolare trovai apprezzabile quanto significativo quello di un disoccupato che rivendicava gli stessi diritti che ancora oggi sono negati per moltissime persone del nostro territorio. Già allora il senso di precarietà e ‘insicurezza verso il futuro era fortissimo e aleggiava impietoso nella piazza.
Ma un aspetto, più di tutti, mi aveva colpito e indotto seriamente ad avviare una riflessione: ed era quello delle parole chiave utilizzate su quel palco.

Ad ascoltarle, assieme agli slogan, ai timori, alle incertezze e, soprattutto, alle rivendicazioni espresse in quel contesto, per ogni ambito e settore, sembrava quasi di assistere a una (a dir il vero sempre più rare) manifestazione odierna.
Una delle tante viste negli ultimissimi anni.

Tanto erano somiglianti a oggi parole, gesti rituali e problemi affrontati.

Successivamente alla visione mi ero domandato, così come, peraltro, me lo domando tutt’oggi, come mai il nostro territorio, tradizionalmente evolutosi con le lotte operaie, con la sofferenza e il riscatto di intere generazioni (nel conflitto sociale si emancipano le società, amava affermare Pierre Carniti), ancora adesso annaspa e non riesce a intraprendere una via di riscatto economico e sociale e duratura per i propri figli.
Erano sbagliate le rivendicazioni? Lo sono adesso? Forse le parole chiave da perseguire non erano o non sono giuste? Quelle del lavoro, della dignità, tramite i tradizionali modelli di sviluppo?
Forse erano e sono sbagliati tutt’ora gli interpreti e gli interlocutori?
Evidentemente non era e non è facilissimo dare una risposta a questi interrogativi.

Quesiti però stimolanti che inevitabilmente inducono a riflettere e ad interrogarsi.

Con la consapevolezza, oltre i proclami, che nessuno ha mai avuto o ha tutt’ora la bacchetta magica per risolvere i gravi problemi che ci attanagliano e ci trasciniamo da decenni. Uno fra tutti quello del lavoro.

Tuttavia, ciò che appare incontrovertibile, su cui nessuno può dimostrare il contrario, è che per risolvere i problemi del lavoro non è più sufficiente protestare o rivendicare quello che riteniamo ci spetti di diritto come si faceva in passato.
Le proteste degli ultimi anni nei diversi comparti hanno in alcuni casi portato qualche risultato degno di nota, ma in linea generale non hanno smosso la condizione economico-sociale del Sulcis Iglesiente che invece si è ulteriormente aggravata.

Anche perché a differenza del passato, oggi le gerarchie del potere, che un tempo innescavano e indirizzavano i processi politico-economici anche in ambito decentrato, sono sempre più lontane dai territori: spesso le dinamiche economiche, burocratiche e procedurali, si articolano nei palazzi romani, talvolta addirittura a Bruxelles.
Pensiamo alle questioni industriali. A quelle fiscali, ambientali, energetiche (in primis oggi metano) o legate ai trasporti da e per l’isola. Tutti elementi imprescindibili per assicurare competitività alle aziende e rendere attrattivi (a ogni investimento esogeno) i territori.

Perciò, forse, gli strumenti, i percorsi e gli obiettivi del passato, rischiano di essere inadeguati o non più rispondenti alle complesse sfide della modernità; tanto più nell’attuale drammatico periodo di emergenza sanitario-economica.

Nel mutato scenario per non essere inutilmente ripetitivi negli errori quanto inconcludenti nei risultati da ricercare e conseguire, bisognerebbe forse avere il coraggio di svoltare e proporre soluzioni inedite e differenziate, per gli atavici problemi che patiamo.

Mettendo insieme le migliori intellighenzie fra quelle rimaste o disponibili, comprese quelle visionarie e provocatorie, con le adeguate professionalità e i rappresentanti di ogni comparto sociale, professionale e istituzionale, per provare a tracciare nuovi percorsi e nuove prospettive.
Insomma, per tentare di cambiare il paradigma.

Nondimeno, anche se difficile da attuare vista l’esiguità e fragilità della classe dirigente territoriale, sarebbe auspicabile l’auto-convocazione di quelli che un tempo si chiamavano gli “Stati Generali” per l’ideazione, la promozione e la sponsorizzazione di una visione economico-sociale di territorio composita, condivisa, concreta e realmente nuova.

Con una parola chiave da anteporre a tutte le altre: quella dell’innovazione normativa e tecnologica.

Il tutto però con l’adeguata determinazione sociale e politica per il sostegno dei percorsi individuati: passando dalla mobilitazione per evitare la chiusura di qualcosa o per la rivendicazione di un qualsivoglia generico diritto, a quella per il sostegno alle iniziative messe in atto per la costruzione delle imprescindibili basi (infrastrutturali e normative) per poter sviluppare qualsiasi progetto economico virtuoso in grado di far emergere il territorio dalle secche dell’arretratezza e dalle sabbie mobili del declino.

È inconcepibile, ad esempio, sul lato legislativo, che ancora oggi dopo numerosi anni di discussione e falliti tentativi (si veda quello dell’Assessore Erriu nella scorsa legislatura regionale), non si riesca ad approvare una seria e coraggiosa legge di “governo dei territori” per consegnare regole certe e snelle e far ripartire l’edilizia e altri importanti settori economici direttamente e indirettamente connessi. Ma soprattutto per costruire, partendo da essa e da altri cambiamenti legislativi in diversi altri ambiti, le basi per costruire nuovi modelli di sviluppo.

Ovviamente, oltre a questo esempio, se ne potrebbero fare tanti altri. Ma è proprio dalla cura di questi percorsi che potrebbe passare una nuova prospettiva di rinascita per il nostro territorio.

di Manolo Mureddu

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