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SCARCERAZIONE BOSS MAFIOSI, SI ESPRIME IL SOSTITUTO PROCURATORE CATELLO MARESCA: “MINISTERO IMPREPARATO”

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La scarcerazione dei mafiosi continua a divampare sui social: c’è rabbia e sgomento per un provvedimento ritenuto ingiusto. Prima Zagaria, ora Cataldo Franco: per quanto al primo (Pasquale, fratello del boss Michele) non siano attribuiti omicidi, il secondo rientra nelle tristi vicende delle vendette di mafia. Giovanni Brusca, ai tempi boss mafioso di San Giuseppe Jato, diede ordine di sciogliere nell’acido nitrico Giuseppe Di Matteo, un bambino/ragazzo di 15 anni (il rapimento avvenne all’etá di 13 anni) come gesto intimidatorio nei confronti del padre Santino, ex-mafioso diventato collaboratore di giustizia: l’azione doveva servire a non testimoniare contro ‘Cosa Nostra’. Cataldo Franco ed Enzo Brusca furono carcerieri ed assassini del povero innocente.

“Ho ucciso io Giovanni Falcone. Ma non era la prima volta: avevo già adoperato l’auto bomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli uomini della sua scorta. Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, che aveva tredici anni quando fu rapito e quindici quando fu ammazzato. Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento.” (Giovanni Brusca, dichiarazione tratta dal libro Ho ucciso Giovanni Falcone, di Saverio Lodato, Mondadori).

La rabbia social si è ovviamente incanalata nel dibattito politico: da più parti sono arrivate le accuse nei confronti del governo e del Ministro Bonafede, travolto dal racconto-scandalo del magistrato Nino Di Matteo su un presunto ripensamento alla sua nomina a causa delle ‘pressioni’ della malavita organizzata. Nino Di Matteo ricevette una condanna a morte da parte del defunto ‘Capo dei Capi’, Totó Riina: ancora oggi, dal lontano 1993, vive con 15 agenti di scorta.

Il Ministro ex disc-jookey se la prende con la Magistratura (che ha permesso la scarcerazione), dimenticandosi il potere che investe chi siede sulla prestigiosa poltrona della Giustizia. Le mancate risposte ai magistrati da parte del DAP, le frettolose dimissioni di Basentini, l’impedimento stesso di queste scarcerazioni con provvedimenti politici. Adesso sta tornando sui propri passi e, tra un’arrampicata e l’altra, sembra voglia apportare modifiche al sistema carcerario, impedendo la scarcerazione ai detenuti in regime di 41-bis o condannati per reati gravi.

E mentre il Premier Conte attribuisce (come sempre) gli attacchi ad una sterile tattica di ‘opposizione’ al governo, da posizioni molto vicine alla galassia della Sinistra arrivano proiettili assai più dolorosi: prima De Magistris e poi Ingroia hanno chiesto pubblicamente le dimissioni di Bonafede. Rappresentano quanto di più lontano possibile da Salvini e Meloni: ecco perché Conte si sbaglia.

In soccorso al governo arriva però Saviano, che difende le scarcerazioni parlando di democrazia contro mafia. La tesi è che impedire le scarcerazioni sarebbe più mafioso ed anti-democratico della mafia stessa.
Allora perché non si è strappato le vesti quando a Bernardo Provenzano è stato impedito di morire in casa propria, seppur ‘anziano’, dichiarato ‘incapace di intendere e volere’ nonchè ‘gravemente malato?’ Stessa cosa si potrebbe dire per Salvatore Riina: anche i suoi legali chiesero una ‘morte dignitosa in casa’ per il loro assistito, ma “l’alto spessore criminale” ne rese impossibile la scarcerazione: morì in gattabuia. Qualche anno di distanza, un establishment più gradito, ed ecco come le considerazioni cambiano. Chi fece morire Provenzano e Riina era mafioso tanto quanto chi, ad oggi, non avrebbe scarcerato i boss per l’emergenza sanitaria.

SILENZIO, PARLA CATELLO

Come si legge nella rassegna stampa della Polizia Penitenziaria, il sostituto procuratore Catello Maresca, che tanti mafiosi ha fatto arrestare, si è espresso sulla scarcerazione dei boss a causa della pandemia da Covid-19.

Stiamo correndo il rischio di tornare trent’anni indietro nella lotta al crimine organizzato”.
A mandare Maresca su tutte le furie è stata soprattutto la concessione degli arresti domiciliari ad un boss che lui stesso ha fatto arrestare: Pasquale Zagaria, fratello del Capo dei Capi dei Casalesi, Michele (“uno così pericoloso che tra di noi lo chiamavamo Pasquale Bin Laden”). Quella scarcerazione, dice Maresca, ha responsabilità precise nel Dap, la direzione delle carceri. “É stato un errore drammatico, cerchiamo adesso di non commetterne di nuovi. Errori che potrebbero chiamarsi Cutolo, Bagarella, Calò. Dalle carte emerge chiaramente una responsabilità almeno omissiva del Dap, che non ha risposto alle richieste del tribunale di Sassari di trasferire Zagaria in una struttura dove potesse venire curato. Il Dap ha tutti i poteri di trasferimento, e se un parere in due settimane non arriva può intervenire perché arrivi. E purtroppo quello di Zagaria non è un caso isolato. La verità, al di là delle pedanterie e dei cavilli, è che il Dap si è fatto cogliere totalmente impreparato dall’emergenza Covid-19. Recentemente abbiamo scoperto che il governo dal 20 gennaio aveva un piano segreto per fronteggiare il virus. E per le carceri cosa è stato fatto? Era legittimo attendersi che subito dopo, diciamo dall’inizio di febbraio, dalla direzione delle carceri arrivasse un piano per fronteggiare l’epidemia negli istituti penitenziari. Invece non è stato fatto niente. L’unica risposta è stato l’indultino per limitare il sovraffollamento. Di altre iniziative non c’è traccia. Bisognava individuare fin da subito le strutture dove poter ospitare e curare in condizioni di sicurezza i detenuti a maggiore rischio, quelli del 41 bis e dei circuiti differenziati. Si potevano allargare i reparti detentivi di ospedali come il Pertini di Roma e il Cardarelli di Napoli. Si potevano creare strutture nuove, come è stato fatto a Bergamo e a Milano. Niente.
La storia di Riina e Provenzano ci insegna che i capi mafiosi sono sempre mafiosi, fino all’ultimo giorno e all’ultimo respiro, qualunque siano le loro condizioni. Quando si ammalano vanno curati nei reparti appositi, come è sempre accaduto. Mandandoli invece a casa si trasmette un messaggio devastante. Non è un caso che i gruppi sui social network dove si ritrovano i familiari dei mafiosi in questi giorni stiano festeggiando la scarcerazione di Zagaria come una svolta. Per non parlare dell’effetto che sta avendo sui territori dove in questi anni, a costo di sacrifici enormi, lo Stato ha guadagnato una certa credibilità, a forza di condanne e di confische dei beni, e che ora vedono un ritorno al passato. Tutta l’operazione di smantellamento che risale ormai a venti o trent’anni fa delle organizzazioni criminali in tutto il paese sta subendo un colpo letale da queste scarcerazioni. E questo indipendentemente dal fatto che questi signori a casa restino davvero in isolamento, che, riescano o meno a mandare direttive all’esterno, che tornino o meno a fare proselitismo. Ciò che è sicuro è il messaggio che intanto abbiamo mandato all’esterno: un messaggio di debolezza dello Stato. Ci vorranno altri dieci anni per recuperare questo disastro”.

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