Se andate su You Tube e cercate Enzo Favata avete molte possibilità di trovarlo in concerti ed eventi, in grandi orchestre o anche da solo. Di recente, in una lezione che ha fatto su zoom per uno strano pubblico dei circoli dei sardi, raccolto in rete da varie parti del mondo, mi ha colpito il suo nitido avvio con il soprano sax in The Crossing Salt Way. Ce lo ha mostrato on line per parlarci della musica sarda nel mondo della musica di fusione, di contaminazione, della world music.
È il 24 ottobre 2020, un sabato. Qui in Italia sono le 10 così in Francia. Ma in Cina sono le 16 e in Giappone le 17 . Ci connettiamo tra diversi fusi orari, però siamo tutti sardi che vivono fuori della Sardegna. Siamo riuniti sul web per un incontro internazionale. Approfittiamo del male per sperimentare un bene. Non ci possiamo incontrare, i nostri viaggi sono limitati, ma ci ritroviamo su una piattaforma zoom e passiamo due ore insieme. E in queste due ore scopriamo la Sardegna, impariamo a conoscerla meglio. Sembra una cosa da pazzi ma è accaduta. Ci siamo già incontrati più volte, su temi dell’archeologia ma anche dell’antropologia , ma non con vecchie lezioni bensì con aggiornamenti e nuovi pensieri per capire la nostra isola. I circoli chiamano da Shanghai, da Parigi, da Tokyo, e noi siamo in rete da Siena, da Firenze, e da Padova da dove ci saluta la presidente della Fasi, Serafina Mascia.
Enzo Favata è una conoscenza ritrovata. E’ stato a Siena per il circolo Peppino Mereu più volte negli anni ’90. Nel 1997 a Chianciano lo invitai ad aprire musicalmente un convegno sull’antropologia del turismo e mi diede in anteprima il disco di Voyage en Sardaigne. Ma lo ascoltai anche suonare di sera in una chiesa di Pienza con una band straordinaria e internazionale. Fece un concerto per noi del Circolo dei sardi all’Accademia dei Rozzi a Siena. Portava una musica che metteva d’accordo le generazioni, sarda e internazionale.
Lo ritrovo ora in questo incontro del 24 ottobre sul web, gli dà voce dalla Cina per l’‘Associazione Amistade, ’ Daniela Pilia. Lui ci racconta che la musica sarda è entrata nell’ascolto mondiale perché ha saputo adattarsi ed essere creativa, continuando e rinnovarsi, non chiudendosi e mummificandosi. Fa l’esempio di Maria Carta, una voce di donna cantante professionista (quando mai si era vista prima) che usa una chitarra non tradizionale, adattata alla sua musica. Mostra alcuni gruppi di canto a tenore che cantano in concerti di musica internazionale, di suonatori di launeddas che prendono contatto col jazz. La sua musica lega Sardegna e Mediterraneo, Sardegna e mondo. La chiama musica di fusione. E’ da qui forse, dal mondo del jazz degli USA che la musica sarda negli anni ’60 comincia a diventare un caso mondiale e non un fenomeno autoctono.
Spesso proprio noi sardi emigrati abbiamo la tendenza a vedere le cose sarde come arcaiche, e a condividere idee che raccontano i sardi come la prima cultura al mondo, legata alla notte dei tempi, madre di tutte le culture. Un passato mitico, che sembra ispirato dal bisogno di sopperire al cattivo presente con uno splendente passato. Enzo Favata ci ha mostrato un altro modo di vedere l’identità sarda. Quello di mostrarla attiva e creativa nel presente. A me piace questa espressione che mi sono inventato, da ex professore di storia delle tradizioni popolari: ‘la tradizione si compie nel futuro’. Che vuole dire che gli stili regionali e locali sono diventati significativi quando si sono incontrati col mondo globale. Anche la cucina sarda non poteva esprimersi come tale nel mondo della povertà, ed è diventata importante e originale solo nel grande mondo delle varietà culinarie e gastronomiche che si afferma negli anni Novanta del secolo scorso. Così è stato anche per l’industria vinicola che ha vinto premi in competizioni mondiali dove è stata valorizzata l’arte degli enologi delle recenti generazioni.
La musica fa da apripista a tutto ciò. Per la Sardegna il canto è stato la guida (sia per il dialogo col jazz degli anni ’60 e ’70 che per il riconoscimento Unesco del Canto a tenore come patrimonio immateriale dell’umanità nel 2003) così come la musica vera e propria: organetto e launeddas. Nel nostro incontro Favata ha ricordato le ricerche sulle launeddas e le benas. Da quando lo conosco Enzo ha sempre una ‘bena’ in tasca. E così alla fine della lezione si è messo a suonare, come per dare ai sardi nel mondo un saluto nella lingua che gli è più congeniale. Un saluto che arrivava a Parigi, a Pechino, a Tokyo e a noi in Toscana. Potenza delle tecnologie.
di Pietro Clemente
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