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Santa Sofia: il presidente Erdogan compie un passo indietro nella storia

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Dopo circa 85 anni, nella Turchia ormai imbrigliata tra le maglie del “sultanato” del presidente Erdogan, si compie l’atto finale di conversione di uno dei simboli religiosi tra i più vessati,  Santa Sofia. Da museo a Moschea, seguendo un ideale contrario a quel solco di laicità voluto e costruito dal “greco” (era infatti nato nel 1881 a Salonicco, quando la Grecia era sotto il dominio Ottomano) Mustafa Kemal Ataturk, presidente di uno stato volutamente aperto senza dimenticare le proprie origini. Con la preghiera del Venerdì, in una cerimonia solenne celebrata da tre imam e cinque muezzin, oltre ad un migliaio di fedeli e alla presenza del presidente Erdogan e il suo governo, quel museo capace di suscitare ammirazione e accogliere milioni di visitatori ogni anno, ora è tornato ad essere edificio religioso, moschea.

Il primo edificio, fondato nel IV secolo per volere dell’imperatore Costantino e successivamente distrutto da numerosi incendi, seguiti ad alcune rivolte, quella che noi oggi conosciamo è la basilica ricostruita per volere dell’imperatrice bizantina Teodora, moglie di Giustiniano, di dimensioni maggiori rispetto alla precedente, dal momento che occupò anche parzialmente l’ippodromo antistante. Quella che venne inaugurata il 27 Dicembre del 537 era una struttura di una grandezza mai vista e che, come disse lo stesso Giustiniano, doveva superare di molto le dimensioni e la fama del Tempio di Gerusalemme del Re Salomone. Per 916 anni la Basilica rimase cristiana fino al sacco di Costantinopoli, avvenuto nel 1453, quando venne convertita all’Islam, come ci ricordano i due enormi medaglioni sospesi all’interno della struttura, in prossimità dell’abside, con scritti versi del Corano.

Tra il 1934 e i 1935, per volere del Presidente della Repubblica turco Ataturk, da luogo di culto si trasformò in museo, contenitore di bellezza con i mosaici interni in parte sopravvissuti alla furia iconoclasta instaurata dall’Isaurico Leone III. La storia travagliata di questa basilica, ora di nuovo Moschea, è la storia di un contrasto politico religioso che ha contraddistinto il mondo occidentale da secoli, tra cristianesimo e islam, tra religiosità e laicità, tra imposizione politica e fede sincera. Ancora una volta, l’uso ai fini politici di un simbolo religioso ha avuto la meglio sul principio cardine laico di uno stato come quello turco, trasformando un simbolo da sempre carico di forza politico-religiosa come Santa Sofia, in spartiacque tra dialogo e imposizione.

Poco importa ricordare quale fosse il significato legato al nome, Sofia, dedicata al concetto astratto della sapienza, che poco ha a che fare con quello a cui assistiamo oggi e che sarebbe dovuto essere simbolo dell’unione tra oriente e occidente. Se da una parte le parole di distensione di Papa Bergoglio possono far sperare in un dialogo volutamente tenuto vivo, stride parecchio il gesto da conquistatore Ottomano dell’Imam Ali Erbas, immortalato con una spada ottomana in mano al suo ingresso nell’edificio, inequivocabilmente e storicamente simbolo di conquista che, simbolicamente, oggi soddisfa il volere del suo presidente Recep Tayyip Erdogan e le sue smanie di affermazione senza opposizioni. Un tuffo nel passato che sottolinea ancora una volta l’importanza della storia e la sua comprensione, onde evitare pericolose conseguenze di scelte scellerate.

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