REYKJAVIK – Un saluto, certo, non basta a far parlare di disgelo. E se per un bilaterale vero e proprio bisognerà probabilmente attendere il G7 di Hiroshima, il vertice dei capi di Stato e di governo di Reykjavik, diventa comunque una occasione per Giorgia Meloni e Emmanule Macron per provare ad accorciare una distanza che dopo le accuse sulla gestione dei migranti del ministro dell’Interno di Parigi Gerald Darmanin e poi del capo di Renaissance, Stephane Sejournè, era diventata praticamente una voragine. Al suo arrivo nella capitale islandese, la presidente del Consiglio continua a ribadire che quelle critiche a suo giudizio nascono da questioni di politica interna e dunque non le “interessano particolarmente”. Ma poco dopo è il presidente francese a pronunciare parole che sembrano di fatto una mano tesa a Meloni.
C’è, dice Macron, la “necessità di cooperare per le frontiere comuni, perché non sottovaluto che l’Italia è il paese di primo approdo: subisce forte pressione e non si può lasciare sola. Dobbiamo costruire soluzioni comuni”. Da palazzo Chigi fanno filtrare “grande soddisfazione” per quelle dichiarazioni: “E’ quello che sosteniamo da sempre”. Non a caso, infatti, fonti italiane ci tengono a fare sapere che a margine del vertice c’è stato un saluto tra i due leader e che il clima è stato di “grande cordialità”. Il dossier migranti è anche al centro della tavola rotonda a cui Meloni partecipa insieme, tra gli altri, al primo ministro britannico Rishi Sunak, con cui di certo ha una grandissima sintonia, tanto che nella sua recente visita a Londra ha spiegato di non vederci niente di male nell’ipotesi di spostare coloro che sono in attesa di asilo politico in Ruanda.
Il summit di Reykjavik, però, è soprattutto l’occasione per i Paesi europei di riaffermare il proprio sostegno all’Ucraina. L’obiettivo più concreto della due giorni è proprio la presentazione del registro dei danni subiti da Kiev. La premier lo definisce un “risultato importante e concreto”. Poi nell’intervento della sessione di apertura del vertice, ribadisce un concetto che le è caro. “Il popolo ucraino – afferma – con la sua eroica reazione all’invasione non sta difendendo solo la sua patria ma i valori fondanti dell’identità europea”.
Ecco perché, secondo Meloni, al presidente Zelensky bisogna dire “che tutta l’Europa e il mondo libero sono debitori” perché “l’Ucraina con la sua determinazione ha fatto capire quanto può essere difficile piegare un popolo libero”. La premier non risparmia nemmeno qualche stoccata ai partiti che in Italia chiedono di fermare il sostegno militare a Kiev. “Se l’Ucraina fosse capitolata, se l’avesse fatto in pochi giorni come molti prevedevano, noi oggi vivremmo in un mondo molto più insicuro. Non vivremmo una realtà di pace – afferma – come racconta quella propaganda così cinica da fingere di scambiare l’invasione con la parola pace”.
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