CITTA’ DEL VATICANO – Con il viaggio che compirà nel profondo nord del Canada dal 24 al 30 luglio Papa Francesco non solo restituisce la visita che gli hanno fatto gli autoctoni del paese per denunciare, la scorsa primavera a Roma, il ‘genocidio culturale’ che hanno subito nel corso dei decenni, così completando il ‘mea culpa’ a nome della Chiesa cattolica, ma lancia un messaggio, ben oltre i confini canadesi, su come la Chiesa dovrebbe essere in futuro. Il suo 37esimo viaggio internazionale attira un’attenzione particolare perché il pontefice argentino ha mostrato nei mesi scorsi crescenti difficoltà nella deambulazione, tanto da avere rinviato una trasferta, prevista a inizio luglio, in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan.
Se già sono all’orizzonte altri viaggi legati, in particolare, alla guerra russa in Ucraina – l’ipotesi di Kiev, il progetto del Kazakhstan – è però nei fatti che Francesco, 86 anni, non si muoverà più come prima. Una realtà che rende ancor più significativa la determinazione con la quale Jorge Mario Bergoglio ha voluto, non senza suscitare qualche apprensione nell’entourage, confermare questa impegnativa visita al circolo polare artico.
Un viaggio irrinunciabile, insomma: perché il Papa, raccontano, è rimasto particolarmente colpito dalle delegazioni di Prime nazioni, Inuit e Metis che ha voluto ricevere, dapprima singolarmente poi tutte assieme, tra fine marzo e inizio aprile, dai racconti degli anziani, dalle storie di abusi fisici e sessuali avvenuti nelle ‘scuole residenziali’ che lo Stato canadese ha fatto gestire alle Chiese, tra di essere la Chiesa cattolica, dai danni compiuti in questa parte di mondo dal colonialismo culturale europeo. Vero, ma in Canada Bergoglio sembra anche intravedere l’occasione per sviluppare, e radicare, almeno tre concetti che gli stanno a cuore e che ritiene cruciali per il cattolicesimo degli anni a venire.
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