L’Associazione Nazionale Magistrati ha deciso di muoversi nei confronti di Luca Palamara. Il magistrato della procura di Roma, sospeso dopo l’inizio dell’inchiesta della procura di Perugia sul ‘mercato’ delle nomine degli uffici direttivi, non appartiene più al sindacato delle toghe: rimane un magistrato, certo, anche se attualmente sospeso.
La decisione è arrivata dopo il rigetto dell’istanza del pm romano (al centro dell’inchiesta sulle toghe a Perugia) di essere ascoltato. L’istanza non è stata accolta perché lo statuto dell’Anm prevede l’audizione davanti al collegio dei probiviri – dove però Palamara non è mai andato – e non davanti al direttivo centrale. Dura la reazione del magistrato indagato a Perugia: “Mi è stato negato il diritto di parola e di difesa, nemmeno l’inquisizione”, ha detto parlando con l’AdnKronos. “Non farò il capro espiatorio di un sistema”, ha continuato Palamara sottolineando di non aver agito da solo.
Prima di ogni decisione, Luca Poniz, presidente dell’Anm, aveva fatto riferimento ad “una gigantesca questione morale” nel mondo delle toghe.
L’inchiesta della procura di Perugia, che ha terremotato il potere giudiziario nella primavera scorsa – e che continua a far sentire i suoi strascichi – è stata, sostiene il pm milanese che guida il sindacato delle toghe “un incalcolabile danno per i magistrati. Le inammissibili interferenze nell’attività dell’autogoverno non possono essere in alcun modo giustificate”.
LE INDAGINI DI PERUGIA
Una sorta di campagna stampa orchestrata alla perfezione per colpire Matteo Salvini, all’epoca dei fatti ministro dell’Interno. Scorrendo le varie chat di Luca Palamara, sembrerebbe proprio che l’obiettivo principale di alcune toghe e di una parte della politica fosse quello di togliere dalla scena il segretario del Carroccio.
Secondo quanto ricostruito dal quotidiano La Verità, il tema dello sbarco della nave Diciotti a Catania sarebbe stato utilizzato come grimaldello per far barcollare Salvini, il quale aveva “ragione” ma, in quel delicatissimo momento, andava attaccato a spada tratta. A orchestrare la campagna contro il ministro sarebbe stato il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Giovanni Legnini, tra l’altro sottosegretario di due governi guidati dal PD.
Riavvolgiamo il nastro e cerchiamo di ricostruire la vicenda. Il 24 agosto 2018 Legnini contatta il consigliere Palamara: “Luca, domani dobbiamo dire qualcosa sulla nota vicenda della nave. So che non ti sei sentito con Valerio (il consigliere del Csm in quota Area, Valerio Fracassi,).
Ai (Autonomia e indipendenza) ha già fatto un comunicato, Area (la corrente di sinistra delle toghe) è d’ accordo a prendere un’iniziativa, Galoppi idem (il consigliere del Csm Claudio Galoppi). Senti loro e fammi sapere domattina“.
È il preambolo a una conversazione che, come vedremo, ha uno scopo ben preciso.
La risposta di Palamara non si fa attendere: “Ok, anche io sono pronto. Ti chiamo più tardi e ti aggiorno“. Legnini insiste: “Sì, ma domattina dovete produrre una nota, qualcosa insomma“. A quel punto Palamara scrive a Fracassi: i due si incontrano il giorno successivo. Il pm riceve quindi un messaggio: “Dobbiamo sbrigarci! Ho già preparato una bozza di richiesta. Prima di parlarne agli altri concordiamola noi“.
La bozza deve essere approvata al più presto. Le firme, decidono Palamara e Fracassi, saranno inserite “in ordine alfabetico“. Arriviamo al 25 agosto, quando le agenzie battono una notizia che non può passare inosservata: quattro consiglieri di Palazzo dei Marescialli, fra cui Palamara, chiedono di inserire il caso migranti all’ordine del giorno del primo plenum del Csm. Nel documento si legge che “la verifica del rispetto delle norme è doverosa nell’interesse delle istituzioni“.
“Gli interventi a cui abbiamo assistito, per provenienza, toni e contenuti rischiano di incidere negativamente sul regolare esercizio degli accertamenti in corso. Riteniamo che sia necessario un intervento del Csm per tutelare l’indipendenza della magistratura e il sereno svolgimento delle attività di indagine“, prosegue il documento. Legnigni, in un altro comunicato, scrive che l’istanza sarà trattata nel primo comitato di presidenza. “Il nostro obiettivo è esclusivamente quello di garantire l’ indipendenza della magistratura“, aggiunge.
L’accerchiamento di Salvini è completato, ma tra le stesse toghe qualcuno alza un sopracciglio. Emblematico il messaggio del procuratore di Viterbo, Paolo Auriemma, a Palamara: “Non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando. Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministro dell’Interno interviene perché questo non avvenga“. Palamara tira dritto: il segretario del Carroccio va “attaccato“. “Indagato per non aver permesso l’ingresso a soggetti invasori. Siamo indifendibili. Indifendibili“, conclude Auriemma.
Quando il vaso di Pandora è stato scoperchiato, Luca Palamara si è scusato con Salvini: ciò non basta a rimuovere una macchia enorme che rischia di minare l’intera credibilità del Paese. Un Ministro poco avvezzo ad altre correnti politiche non può essere attaccato politicamente utilizzando le armi della Magistratura che, al di là delle personalissime opinioni, dovrebbe essere un organo super partes: dovrebbe, il condizionale è d’obbligo. Ma alla fine, la cacciata che cosa dimostra? Chi ha paura di Palamara? Quali dichiarazioni scottanti avrebbe potuto far trapelare? Perché una cosa è certa oltre ogni ragionevole dubbio: Luca Palamara ha sbagliato, ma non può aver agito in solitaria.
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