Dopo aver scoperto che il suo bambino di età prescolare è risultato positivo al Covid 19, la Signora Marta e tutta la sua famiglia, è entrata nel limbo sanitario del “Chi cerca risposte deve telefonare a chi non si sa”. Marta è un nome di fantasia. Abbiamo deciso così per ragioni di privacy e per tutelare lei e la sua famiglia.
Una famiglia che nei seguenti 9 giorni, dopo aver scoperto che il piccolo ha preso il virus a scuola, non trova pace.
“Martedì 27 ottobre la scuola dell’infanzia di mio figlio chiude per un caso di positività. – ci racconta Marta – Il 30 ottobre tutti i bambini vengono sottoposti a tampone e scopriamo quindi un alto numero di positivi di insegnanti e piccolini, tra cui anche il mio bambino. Il 3 novembre mattina abbiamo infatti, tramite fascicolo sanitario, la conferma della sua positività. 9 giorni ad oggi, 9 lunghissimi giorni in cui tremo per uno stupido starnuto dei miei figli, in cui siamo tutto il giorno con la mascherina, a chiedere il distanziamento a due fratellini e NESSUNO ci ha ancora chiamati.”
In queste sue parole tutta la stanchezza per una situazione che tarda a risolversi.
“È stata nostra premura – prosegue Marta – farci segnalare il 3 novembre mattina chiamando l’unita di crisi. Nostra premura chiamare il comune per azionare il meccanismo di ritiro spazzatura. 9 giorni in cui non so se il mio piccolo si è negativizzato. Non so se noi siamo positivi, se la classe dell’altro mio figlio è dunque potenzialmente a rischio.”
Le preoccupazioni, ovviamente, in questa situazione aumentano perché le risposte, come ci comunica la Signora, non arrivano e sembrano rimbalzare da una parte all’altra.
“Chiamiamo l’ATS e ci dicono che non è loro competenza, che dobbiamo metterci in contatto con l’Igiene Pubblica. Altre ore al telefono per sentirci dire da Igiene Pubblica che loro gestiscono le scuole e che quindi non compete a loro ma all’USCA. L’Unità speciali di continuità assistenziale (USCA), ci dice che invece è compete all’Igiene Pubblica. Sono esausta – dichiara la Signora.”
Un appello importante quello di Marta.
“Perché tutti sono liberi di calpestare i miei diritti? Ho chiamato anche i carabinieri, letteralmente in lacrime, e mi hanno detto che capiscono la difficoltà che stiamo vivendo ma non hanno potere per aiutarci.
Abbiamo la fortuna di stare bene, al momento, e so di essere privilegiata rispetto a chi non ha salute ma questo non credo giustifichi procedure lacunose e che non funzionano. Nessuno mi ha mai detto che dobbiamo stare a casa, nessuno mi ha mai detto come dobbiamo comportarci, nessuno mi ha mai chiesto un tracciamento dei contatti di mio figlio che ricordo essere positivo. E se il fratello fosse anche lui positivo non sarebbe il caso di chiarirlo e chiudere anche la sua classe e verificare anche la positività dei compagni?”
Conclude con queste perplessità e con la richiesta di un aiuto che non può essere solo una voce silenziosa.
“Davvero con questa gestione si pensa di bloccare l’epidemia? Davvero dobbiamo accettare tutto questo mentre io sono stata attenta a seguire tutte le regole con sacrifici giustissimi, per carità, ma poi? AIUTATECI e condividete, aiutate tutti i bambini, le famiglie e il personale della scuola.”
Nel frattempo, mentre stavamo per pubblicare l’articolo, la Signora Marta ci ha fatto sapere che stanno giungendo dagli operatori competenti le prime chiamate ad alcuni genitori di bimbi risultati positivi. Marta sa benissimo che è un periodo difficile e di emergenza sanitaria e si augura che al più presto anche il suo telefono squilli per avere delle risposte e delle rassicurazioni.
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