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“L’eversivo” Charlie Chaplin che osò sfidare le grandi Major cinematografiche

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Charles Spencer Chaplin, per tutti Charlie, nasce il 16 aprile 1889, a Londra, nel tipico sobborgo della capitale britannica. La sua carriera artistica mosse i primi passi nel mondo del circo, dove si affermò come fantasista negli spettacoli itineranti di Fred Karno. Ben presto il giovane Chaplin divenne, insieme all’allora sconosciuto Stanley Jefferson,  noto oggi col nome di Stan Laurel (il mitico Stanlio di che faceva coppia con Oliver Hardy), uno degli attori più apprezzati della compagnia.

La sua infanzia, alla fine dell’epoca vittoriana, fa pensare subito ad un romanzo di Dickens, avvolta nella miseria, cresciuto tra estremi disagi ma, nonostante le condizioni finanziarie precarie, mostra immediatamente un grande talento nella recitazione.

Alla fine del 1913, dopo una tournée che lo porta in giro per il mondo, venne scoperto da Mack Sennett, per il quale accettò di firmare un contratto per la casa cinematografica Keystone. Ad Hollywood, nel 1914, interpreta 35 film comici, tutti con la costante dell’inseguimento e di torte in faccia. Grazie a questi, nasce spontaneamente il personaggio che l’avrebbe reso celebre: bombetta, baffetti, punte dei piedi in fuori, grosse scarpe, pantaloni eccessivamente larghi diventeranno un’icona, una divisa da “finto ricco” che daranno luogo al personaggio di Charlot.

Personaggio maldestro che combina un mucchio di guai, attraverso lui Chaplin attaccherà a fondo le convenzioni, polemizzando contro la società nei suoi molteplici aspetti. Più di 80 film tra corto, medio e lungometraggi, dei quali almeno il 70% diretti personalmente, a soli 25 anni anni viene ormai considerato da tutti una leggenda.

Produttore, regista, protagonista, mattatore indiscusso della scena, nel 1919, fonda con Griffith, Fairbanks e Pickford, la United Artists, assicurandosi così l’indipendenza produttiva totale entrando però in conflitto con le grandi Major del settore che, a più riprese, proveranno ad ostacolarlo. 

Premio Oscar nel 1972 alla carriera per “l’incalcolabile contributo dato alla trasformazione del cinema nell’arte del nostro secolo”, ancora oggi molti dei suoi film restano pietre miliari della cinematografia. Il pensiero vola quindi a The Kid (Il monello), film autobiografico di grande profondità espressiva dove, alternando comicità e commozione, verrà fuori anche il talento di Jackie Coogan, interprete della pellicola a fianco di Chaplin. Nel 1923 con “La donna di Parigi“, in cui per la prima volta non compare come interprete, se non in una piccola parte marginale, raccoglierà un insuccesso ai botteghini nonostante l’ottima regia, oltre ad una conseguente censura in 13 stati per immoralità dei temi trattati.

Ne “La febbre dell’oro” vengono fuori invece tutta la forza e le attitudini nella direzione, lasciandoci in eredità alcune tra scene più belle che la storia del cinema potesse regalare, come la “bollitura delle scarpe” o la “danza dei panini”; quest’ultima racchiude in se tutto il senso spiccato per la comicità ed espressività dell’artista, la cui naturalezza sarà tutta nella spontaneità della risata finale.

Con “Tempi Moderni” si assicura di proiettare sul grande schermo una satira feroce e straordinaria contro il capitalismo ma anche contro lo stacanovismo sovietico, ricco di idiosincrasie dell’uomo “moderno” in seno ad una società sempre alla ribalta ormai schiava che porta, il protagonista, al manicomio per colpa di un esaurimento nervoso dovuto proprio all’alienazione da lavoro.

 

La presunta origine ebraica – più volte smentita – e le esplicite simpatie per le idee e i movimenti di sinistra lo posero sotto il controllo dell’FBI sin dagli anni venti, portandolo nel 1947 di fronte alla Commissione per le attività antiamericane. Il 19 Settembre del 1952 (mentre era in viaggio per Londra), gli venne addirittura annullato il permesso di rientro negli USA, dove rimise piede solo negli anni ’70 per ricevere il premio alla carriera a lui assegnato, trasformandosi pure in un momento di riconciliazione.

«Chaplin fu uno dei primissimi “registi industriali” ad aver colto il senso artistico del cinema, quindi anche la potenza dell’autore. Quella ricerca di realismo, di esasperazione, di poter fare cose che ai registi commerciali americani non permettevano, spingendolo spesso all’estremo». Così l’ha definito Giovanni Pili nel suo pezzo su Chaplin per la testata Open, evidenziando quanto l’efficacia e il potere di quella mimica facciale, nel cinema muto, seppe trasmettere più di mille parole.

 

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