Il signore, sconvolto chiaramente in viso, uscì in quell’ora insolita dal portone. Erano le cinque del mattino.
Il signore portava in mano una storia, la sua, bene incartata e sembrava deciso a trovare qualcuno cui consegnarla o un luogo sicuro dove riporla, lontano da casa e soprattutto da occhi e orecchi indiscreti.Noi ci trovavamo per caso a passare di lì, eravamo stanchi ma felici, come solo il ritorno da orgie può rendere degli uomini che altri problemi non hanno e si dibattono a volte solo fra un’ora noiosa e l’altra. Un po’ l’alcool, un po’ perché il signore appariva alquanto barcollante, forse più di noi, ci mettemmo a seguirlo.
Andava di fretta, era chiaro il suo desiderio di incontrare dei volti amici con delle mani capaci di tenere una storia così, credevo almeno, per stare un po’ meglio. Ci avvicinammo, ma sebbene fossimo parecchio rumorosi, non si voltò. Lo superammo, ci mettemmo al suo fianco, ma il signore impassibile finse di non notarci, dico finse, perché notato ci aveva, dato che faceva l’atto di stringere di più al petto la propria storia che, così, anche allungando il collo e contorcendoci, non potevamo scoprire nulla.Parlavamo a gran voce, chiedendoci cosa potesse essere; non ottenendo risultati concreti alcuni di noi, come al solito, cominciarono a vantarsi:
«Perdìo, quante storie per una storia così, io mica li farei tanti misteri».
«Guarda, da quel poco che ho potuto vedere, anch’io una volta ho avuto una storia come questa qui, eppure non la nascondevo, anzi!» diceva Antonio, da non prestargli molta retta, era definito un ‘raccontaballe’, ma gli altri insistettero: «Racconta, racconta!»
«Una volta – riprese – mi trovavo per lavoro in Romania per via delle costruzioni di macchinari che io…»
«Ma va avanti!»
«Calma, calma, che fretta c’è? tanto lo seguiamo lo stesso, no? Dicevo, ero per lavoro, però m’ero sistemato tranquillo, capite? Abitavo con una ragazza che praticamente mi aveva affittato una stanza, poi non mi fece pagare più, dicendo che io, come fitto, gli bastavo. Stavamo sul più bello della nostra storia, quando un telegramma della mia signora recita: ‘arrivo alle quindici’, erano le dodici e capite, dovevo girare tutta Bucarest con le valige in mano a trovare una pensione dove la proprietaria non fosse né bella, né giovane. Con la gelosia di mia moglie, la sudata! Con quel telegramma in mano, che storia! Comunque me la cavai, come quello, vedrete come se la cava!»
«Suvvìa – intervenne Goffredo – la chiami storia questa, ed io, allora, che devo dire? Quella mattina, era proprio una mattina come questa, ancora scuro, non mi arriva il telegramma di mia suocera, non questa di ora, bensì la precedente. Quella non sapeva nulla della nostra separazione; da dieci anni mandava e riceveva lettere col bacino al nipotino, ignorando che da nove io e sua figlia c’eravamo lasciati. Ma chi va a pensare che quella ancora a ottantasei anni si fa un viaggio così lungo, dal Trentino, per venire a trovarci! Queste son storie! Io ed Elsa, poi non c’eravamo più visti, un suo collega d’ufficio mi portava le lettere, dove io scrivevo, in calce alle stronzate di mia moglie: bacioni mamma, stiamo bene, ti pensiamo sempre, tuo affezionatissimo, eccetera, insomma, mettevo le mie. E, ci pensate, quella arriva e, non solo la repulsione di rimanere con sua figlia, ma allenare in pochissimo tempo il bambino a dire: ciao papà, ci giochi con me, come ogni sera? anche se c’è la nonna, dico, capite? quella arriva e lui a fare un sacco di domande mentre io corro come un matto e non solo: tutti quei giorni terribili mentre Elsa sorridendo mi dice: vuoi questo caro? è più cotto! è troppo salato, amore? ma quando mai! dico e poi appena la vecchia si voltava, giù, con lo sguardo torvo, come a dire: aspetta che vada via… Comunque ci scoprì e fortunatamente, anche se fra le risa del bambino, della vecchia e di lei, che sì era, la strega! nel frattempo anche risposata, la cara mogliettina, fui libero!»
Adesso guardavano me: «Amici, io non ho storie così. Comunque sappiate che non le porterei in mano offrendole al primo venuto, solo per sfogarmi».
«Su… non farti pregare. ehi! guardate là!»
Ci girammo a guardare il signore sconvolto che intanto era arrivato nel quartiere residenziale della città. Andava più cauto, sembrava dirigersi verso il primo palazzo sulla destra. Lo seguimmo imitando la sua stessa aria furtiva. Si fermò, girò attorno lo sguardo, come a controllare.
Noi adesso eravamo zitti, seminascosti da un grosso albero, ormai decisi a scoprirla la sua storia.
Senza fare il minimo rumore ci avvicinammo alle spalle dell’individuo, nel tentativo di coglierlo di sorpresa: stava chino, senza fare proprio caso a noi e fu in quell’attimo che saltarono tutti in aria, lui e i miei compagni, a pezzetti, di misure diverse.
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