“Continuare a scrivere. E pubblicare. Questo è il mio sogno. Ho in mente nuovi “gialli appenninici” e un seguito per ‘Gli ingranaggi dei ricordi’, e poi chissà. E vivere serenamente gli anni che ho ancora davanti con la mia famiglia e mi auguro che il mondo rinsavisca e si dia una raddrizzata prima che sia troppo tardi”.
Ha pubblicato diversi libri Marisa Salabelle. Nata a Cagliari il 22 aprile 1955. Nel 1965 si è trasferita a Pistoia con la sua famiglia e in Toscana ha sempre vissuto.
“Ho fatto il liceo classico, mi sono iscritta alla facoltà di lettere e filosofia e mi sono laureata in storia. Per molti anni ho insegnato, prima nelle scuole medie, poi in un istituto tecnico. Ho scelto questo mestiere per passione e ho cercato di dedicarmi al meglio delle mie possibilità agli studenti più fragili e problematici. Mi sono sposata nel 1979 e ho quattro figli, ormai tutti adulti, e un nipotino di tre anni. Da sempre ho amato la lettura e in diversi momenti della mia vita mi sono cimentata con la scrittura. Finalmente nel 2015 sono riuscita a pubblicare il mio romanzo d’esordio, un esordio tardivo, all’età di 60 anni. Da allora ho pubblicato altri quattro romanzi e spero di pubblicarne ancora degli altri. La mia vita è semplice: mi occupo di mia madre e di mio nipote, faccio volontariato, leggo e scrivo; amo la montagna e mi piace viaggiare, ma non sempre mi è possibile”.
Ha cominciato da ragazza scrivendo brevi racconti, che poi inviava a concorsi per inediti, dove spesso erano apprezzati. Durante gli anni più intensi della sua vita familiare e lavorativa ha abbandonato quasi del tutto la scrittura, ma superati i quarant’anni, con i figli già cresciuti e un po’ più di tempo per se stessa, ha ripreso questa sua antica passione.
“Mi sono cimentata con la forma romanzo, ho fatto dei primi tentativi abbastanza malriusciti, poi ho scritto alcune cose che mi sono sembrate buone. Così è nato in me il desiderio di pubblicare, di avere dei lettori, e mi sono data da fare per raggiungere questo obiettivo. Posso dire in tutta sincerità che non è stato facile, ma a un certo punto ho avuto la fortuna di incappare in un’agenzia letteraria grazie alla quale ho potuto pubblicare, nel 2015, il mio primo romanzo.”
Si intitola “L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu”
“E’ un romanzo ibrido, perché, come si può intuire dal titolo, è in parte un giallo, ma anche la biografia di un bizzarro personaggio, l’eroina che dà nome al libro. La casa con la quale ho esordito è la Piemme, con cui tuttavia non ho avuto un seguito: dopo alcuni anni ho scovato un piccolo editore delle Lunigiana, Tarka, che intendeva inaugurare una collana dedicata agli Appennini, chiamata appunto Appenninica. Con Tarka ho pubblicato due romanzi ambientati sulle montagne dell’Appennino tosco-emiliano”.
“L’ultimo dei Santi” nel 2019 e “Il ferro da calza” nel 2022.
“Sono due gialli che hanno come personaggio ricorrente Saverio, un giornalista con la passione dell’indagine, che già appariva ne “L’Estate che ammazzarono Efisia Caddozzu””.
Nel 2020 è uscito con l’editore cagliaritano Arkadia un romanzo storico-familiare, “Gli ingranaggi dei ricordi”.
“Un libro questo ispirato molto liberamente alle vicende vissute durante la Seconda guerra mondiale dai miei genitori, all’epoca adolescenti, e dalle loro famiglie. Nel romanzo, ambientato in Sardegna, si parla anche di Silvio Serra, un partigiano realmente vissuto, fratello della mia nonna materna, un eroe poco conosciuto la cui vicenda ho tentato di ricostruire”.
Infine, nell’ottobre 2022, Arkadia hai pubblicato “La scrittrice obesa”.
“E’ la storia tragicomica di una donna divorata da due passioni, quella per il cibo e quella per la letteratura. Con questo romanzo, che mi sta dando una certa soddisfazione, sono iscritta al Premio Campiello”.
Cosa accomuna le pubblicazioni di Marisa Salabelle?
“Tutti i miei libri nascono da esperienze personali. Il compito di una buona scrittrice, poi, sarebbe quello di attingere alle proprie esperienze per renderle universali e quindi condivisibili dai lettori. Nell’Efisia, l’infanzia della protagonista è molto simile alla mia, la sua scarsa avvenenza rimanda alle difficoltà che ho avuto col mio aspetto fisico, specialmente durante l’adolescenza; la sua giovinezza negli anni ’70 è un po’ lo specchio dell’atmosfera che ho potuto percepire nella mia città durante quegli anni. I due ‘gialli appenninici’ parlano delle montagne che amo e che frequento, dell’abbandono e della solitudine cui quei luoghi sembrano destinati. Degli ‘Ingranaggi’ ho già detto; anche ‘La scrittrice obesa’ è una sorta di autobiografia molto esasperata. In generale mi piace raccontare delle persone comuni, delle vite banali, che in realtà banali non sono mai; non mi ispirano personaggi belli e di successo ma i perdenti, gli strambi, i matti, e scrivo principalmente di donne”.
E l’isola lontana, che ti ha dato i natali, come la vivi?
“La Sardegna io l’ho lasciata da bambina e per molti anni non ci sono tornata. Inoltre sono di Cagliari, una città che è poco “sarda” nel modo in cui di solito viene vista la Sardegna: una terra magica, ancestrale, primitiva… io in questo, che alla fine è diventato uno stereotipo, non mi riconosco. Quando sono arrivata a Pistoia avevo 10 anni e mi sembrava che Cagliari fosse molto più moderna, molto più avanti di questa cittadina, questo paesone dove la sorte mi aveva sbattuta”.
C’è un filo particolare che ti ha in qualche modo tenuta unita alla Sardegna?
“Il legame con l’isola per me si è concretizzato nella figura di mia nonna, una donna che nell’aspetto, nel modo di parlare, nelle frasi in dialetto che infarcivano i suoi discorsi, rappresentava per me la quintessenza della sardità. Sta di fatto che quando ho scritto il romanzo col quale ho esordito mi è venuto naturale ritornare alla mia infanzia cagliaritana, a un certo modo di essere e di parlare, a certe parole dialettali che avevo orecchiato in famiglia… quindi sì, con l’età adulta è tornato fuori il mio legame con la Sardegna, e all’isola ho dedicato in particolare ‘Gli ingranaggi dei ricordi’. Negli ultimi anni sono tornata diverse volte a Cagliari, e devo ammettere che amo molto questa città e la sento in qualche modo mia. Della Sardegna conosco la povertà, i problemi non risolti, lo sfruttamento in chiave turistica, ma la cosa che mi preoccupa e mi indigna di più è il fatto che gran parte dell’isola sia militarizzata, sfruttata e devastata dalle basi Nato e interforze che occupano ampie porzioni di territorio, che viene sottratto ai sardi e dove pullulano malattie e malformazioni. Un ben triste destino per un’isola così bella”.
di Massimiliano Perlato
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