Mi sia consentito di provare orrore spaesamento e dolore quando leggo e ascolto di: abusi sui minori; stupri di gruppo; uso indiscriminato e maligno dei social media; assassinio di donne che dicono NO a una relazione tossica; tragedie delle persone che continuano a morire in mare; del perdurare delle guerre. E mi sia consentito qualche timore di fronte allo sversamento nel Pacifico dell’acqua della centrale nucleare di Fukuscima, anche di fronte alle “rassicurazioni” della scienza.
Mi sia consentito, inoltre, di indignarmi di fronte alla povertà nelle sue diverse accezioni e su ogni altra ingiustizia di cui si diventa “testimoni” impotenti nella quotidianità di quest’epoca confusa.
Non spetta a me giudicare gli esecutori dei diversi crimini, ma qualche domanda è d’obbligo porsela.
Dove quando come e perché abbiamo smarrito sentieri comuni in cui la vita, il benessere il rispetto e l’equilibrio delle persone erano beni supremi da salvaguardare in armonia con l’universo!?
Quando abbiamo perso completamente la capacità di percepire il mondo, che necessita di interventi umani per il mantenimento dei suoi equilibri finalizzati alla vita, come dono da custodire e proteggere per consegnarlo al domani che verrà!?
Perché vi sono, ancora oggi, nel mondo diverse persone per le quali risultano vani gli insegnamenti della II Guerra Mondiale, unitamene alle responsabilità e alle azioni esecrabili di coloro che l’hanno voluta. Quotidianamente ascoltiamo di vite umane cancellate, spezzate; di territori distrutti in ragione di una visione distorta e criminale che annienta l’esistente.
Come possiamo continuare a mantenere saldi l’integrità etica morale e giuridica consegnataci dai Genitori della Costituzione!?
Non trovo risposte men che meno esaustive, bensì la forza e la possibilità di non cedere alla rassegnazione
Ogni epoca ha conosciuto drammi sociali e guerre che hanno generato morte e distruzione e in ognuna di esse l’umanità ha trovato strumenti per cambiare le cose. Può accadere ancora. Anche se il nostro tempo – in termini generali nel quale si palesano eccellenti eccezioni – si palesa come una pagina sporca imbrattata di colori accecanti, di voci e somme di azioni sovrapposte, massificate che oscurano la possibilità di porsi in relazione con l’atro, di capire e provare empatia. Anche se nel nostro tempo il virtuale è diventato espressione della realtà nella quale, in modo più o meno consapevole, ci si può spogliarsi completamente delle proprie responsabilità. Anche se nell’era del progresso “scellerato” in cui la tecnologia, sempre di più, viene usata in modo distorto per ricattare, denigrare e svilire l’umanità, uccidere la sua anima. Anche in questa società dell’apparire che mette in ombra e non valorizza l’essere della persona, in un processo di rimozione della memoria storica che ostacola l’inizio di ogni futuro, si possono cercare e ritrovare elementi unificanti da finalizzare alla ricostruzione di una società più giusta. Ma prima occorre chiedersi quando e come abbiamo smarrito quegli elementi indispensabili a regolare i rapporti umani e con l’ambiente che lo circonda. Forse quando abbiamo iniziato a sottovalutare l’importanza di un equilibrio tra la dimensione relazionale affettiva e quella etica-normativa, che ha avuto il sopravvento sull’importanza della distinzione dei ruoli. Forse quando, nell’ottica del “non mi riguarda” abbiamo cominciato a sminuire piccoli evidenti segnali di malessere collettivo, in una sorta di percorso di estraniazione più o meno colpevole e consapevole. O può essere accaduto quando abbiamo smesso di imparare ad avere fede, di cercarla coltivarla e alimentarla nella quotidianità nelle sue espressioni più genuine. O quando abbiamo percepito la paura di fronte ai cambiamenti individuali e sociali. O forse è accaduto quando abbiamo smesso di analizzare il significato delle parole e abbiamo lasciato spazio ad ogni possibile strumentalizzazione di esse. O può dev’essere avvenuto quando abbiamo smesso di pensare che ogni nostro pensiero e comportamento diventano possibili modelli da imitare, nei diversi contesti in cui ci troviamo ad agire.
Un insieme di aspetti in cui si ravvisano: visione distorta dell’amore, anaffettività, egoismo, pensieri e condotte estranianti, dissociazione e chiusura, unitamente a fattori ambientali subculturali e formativi, hanno certamente favorito i cambiamenti sociali che conosciamo. Ma non abbiamo dimenticato completamente la nostra umanità onesta, virtuosa, rispettosa, laboriosa, libera e bella, che fa del nostro un grande Paese nel quale si può costruire un futuro diverso e migliore. Non ci deve rassegnare, piuttosto essere maggiormente consapevoli degli strumenti che abbiamo e che possiamo utilizzare per ripensarci come soggetti sociali. La possibilità di poter fruire di maggiori strumenti umani e professionali nei diversi contesti educativi territoriali, finalizzati anche a riconoscere e gestire le emozioni, il malessere, le insicurezze e la paura ci renderebbe più consapevoli e capaci di interagire con maggiore efficacia ed equilibrio nella comunità.
La bellezza, il bene, il male e l’utilità di ciò che facciamo hanno origini affettivi educativi, culturali e formativi appresi, che necessitato di essere rivisti e contestualizzati nei diversi momenti e ruoli che intervengono nell’incedere del tempo.
In famiglia, a scuola e in qualsiasi ambito associativo presente sul territorio – che non si esprima, quest’ultimo, esclusivamente in termini prestazionali -, s’impara l’importanza della conoscenza, che ci rende liberi e pensanti, consapevoli e capaci di vedere il bene e il male. Dai contenuti culturali impariamo: ad ascoltare il pensiero dell’altro, che non significa condividerlo a prescindere; a non aver paura del diverso; a non condannare, ma a giudicare i fatti in un cammino di crescita e sviluppo del pensiero critico individuale e collettivo; il rispetto. Liberi di essere se stessi con la considerazione e cura della libertà di ognuno.
Non dobbiamo temere il confronto, forti del fatto che la cultura è creativa, non può e non deve essere confusa con la semplice erudizione, che si limita alla ripetizione di contenuti appresi. Quest’ultima è spesso usata in modo indiscriminato da persone il cui unico interesse è riscuotere consensi. Costoro sanno perfettamente che la ripetizione di alcuni contenuti, talvolta parzialmente veri, se non del tutto falsi, mediati da un linguaggio elementare e ripetitivo, dal tono e dall’aggressività verbale e prossemica, giova a rafforzare il significato delle parole intese, ancor più se accompagnate da vocaboli ambigui, che lasciano ulteriore spazio ad interpretazioni soggettive. Contenuti di conoscenza, vera o presunta, che proposti in tal modo, diventano strumenti di memoria rievocativa finalizzata a favorire la conformazione del pensiero. Ne possiamo fare esperienza in diverse circostanze: nello stridente sboccato ciarlio che usano perlopiù diversi politici – non tutti grazie al cielo –, più o meno noti per le loro esternazioni estemporanee e, sempre più spesso, prive di fondamento.
Sia chiaro, la pluralità del pensiero è indispensabile. Non può mancare nell’ottica di una discussione onesta. Sul piano intellettuale favorisce la discussione nell’ambito della quale ogni domanda può trovare risposta ed essere condivisa del tutto, in parte o per niente.
La diversità di pensiero declinata in modo corretto e corrente è indispensabile alla crescita individuale e collettiva. È l’uso strumentale della diversità d’opinione che può diventare, invece, estremamente dannoso quando (essa) viene usata in modo manipolatorio, in cui l’interlocutore è sminuito deriso, in un crescente di voci e schiamazzi che si accavallano, con il chiaro obiettivo di ostacolarne la comprensione e la valutazione della sua esposizione.
L’aggressività che connota i talk show nelle diverse Reti TV ne è una palese dimostrazione. In questi programmi, prevalentemente, il confronto non è una discussione in cui si alternano voci differenti – magari anche un po’ accese – nel rispetto reciproco della verità e degli ascoltatori. Bensì un luogo di contrapposizione, prevalentemente politico-sociale, in cui si assiste all’aggressività di taluni protagonisti e alla distorsione dei contenuti con l’obiettivo di screditare e svilire le argomentazioni dell’altro. Così ogni contenuto presentato in modo pacato – sempre più spesso – è sovrastato dal becero starnazzo, con l’unico fine di negare all’altro l’espressione del proprio pensiero. In queste realtà di intrattenimento, non manca l’imbonitore al quale è affidato il compito di carpire in modo ancor più subdolo il consenso degli ascoltatori. Costui spesso mente, consapevole di farlo e conscio del numero degli ascoltatori a cui può “vendere” contenuti farlocchi finalizzati ad alimentare personali aspettative.
Non tutto è perduto, ad ognuno resta la possibilità di procedere, con un certo disincantato, a un obiettivo esame di realtà, nell’attesa di poter ascoltare e valutare argomentazioni e confronti proficui, finalizzati alla possibilità di dare vita a una società migliore. Una società in cui ognuno è chiamato a confrontarsi con le proprie responsabilità e compiti e a riconoscere nell’altro una persona.
Infine, sarebbe benaugurante poter ascoltare almeno una porzione verità da parte di tutti, non sulle intenzioni, ma sulle reali possibilità di apportare cambiamenti allo stato delle cose, nonché una corretta individuazione delle priorità, che obbligano moralmente e giuridicamente a guardare alla e nell’esistenza delle persone. Perché un Paese che si esprime onestamente e investe le proprie risorse nella realizzazione della giustizia sociale in termini di sussidiarietà, indipendentemente dal luogo di provenienza; che include l’uso della scienza; l’incentivazione dell’economia; la tutela dei diritti, ivi compreso quello al rispetto e la cura dell’ambiente; dove ognuno è persona; è un Paese dove si vive meglio.
di Bruna Murgia
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