L'angolo del cittadino

La lettera aperta di un’emigrata sarda al Presidente Solinas “Siamo sardi seppur non residenti. È un nostro diritto rientrare a casa”

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Il covid penalizza oltremodo tutti gli spostamenti che non rientrano nelle cosiddette categorie autorizzate e cioè: lavoro, malattia e acquisto di beni di prima necessità. Ma anche queste regole non sono valide per tutto il territorio nazionale. Per arrivare in sardegna, per esempio, bisogna essere muniti di tampone effettuato nelle 48 ore precedenti oppure sottoporsi alla prova appena sbarcati nell’isola. I provvedimenti sono stati adottati dal presidente della Regione con delle ordinanze a tutela degli abitanti sardi ma in alcuni casi stanno creando grosse difficoltà. È il caso di una sarda che vive in Piemonte ma ha delle attività, la casa e i familiari che risiedono nel Sulcis. In una lettera aperta al presidente della Regione racconta la sua spiacevole esperienza

Egr. presidente,

Le scrivo per portarle la voce di una sarda (il mio nome è Valentina Sanna) nata in Sardegna da genitori sardi, e discendente da antenati sardi, che tutto ha di sardo tranne una cosa: la residenza.

In Sardegna ho trascorso l’infanzia, ho molti parenti ed amici, ho una casa, ho interessi di lavoro, e ho una delle sedi della mia associazione. Per alcuni mesi all’anno sono dunque domiciliata in Sardegna, sia per le ragioni suddette e sia per ragioni di clima, poiché la mia salute ne trae giovamento, ma la mia residenza è altrove, in Piemonte.

Ebbene, sig.Presidente, parliamo delle sue Ordinanze che hanno come oggetto Sardegna Sicura.

Per lei, quando si tratta di ingressi in Sardegna, il mondo si divide in residenti e turisti, più una piccola minoranza costituita da coloro che hanno ragioni di “necessità” come il lavoro o la salute. Neanche una parola nelle sue ordinanze per i nativi.

Sappia, che noi nativi non “andiamo nelle seconde case”: noi “torniamo a casa” in Sardegna.

Noi non siamo “turisti”, torniamo da mamma. Noi non siamo costretti come gli altri a restare nella nostra casa, nel nostro Comune, nella nostra Regione come gli altri italiani: noi siamo lontani da casa nostra e dobbiamo arrampicarci sugli specchi per riuscire a respirare l’aria di casa da più di un anno.

Perfino la legislazione nazionale si ricorda che le persone possono avere una residenza e un diverso domicilio, ai quali è sempre possibile rientrare anche in “zona rossa”: infatti nella mia autocertificazione (quella richiesta dalle leggi nazionali) per entrare in Sardegna scrivo sempre “rientro al domicilio”. Invece Lei, sig. Presidente, nelle sue ordinanze e nel portale Sardegna Sicura non riconosce il mio diritto al rientro al domicilio, Lei tollera solo i residenti, Lei mi obbliga a cercare ragioni di “necessità” per tornare a casa mia.

Le racconto un episodio:

Qualche giorno prima di Pasqua mio padre, classe 1930, mi ha telefonato dalla Sardegna per darmi il suo ultimo saluto, dato che si sentiva mancare. E così ha fatto con mia sorella, residente in Toscana.

Entrambe abbiamo immediatamente cercato un aereo per raggiungere babbo. Abbiamo impiegato una serata a compilare i moduli da Lei richiesti per partire, perché il sito di Sardegna Sicura quella sera non voleva funzionare.

Io sono riuscita a fare un tampone in farmacia prima della partenza, requisito necessario per entrare in Sardegna, mia sorella non ce l’ha fatta.

Ho acquistato l’UNICO VOLO da Torino in partenza il giorno dopo: volo Alitalia, Torino Cagliari con scalo a Roma, €189.00. Altro che continuità territoriale! Ho viaggiato tutto il giorno, ho fatto interminabili code in tutti e tre gli aeroporti, partenza, scalo, e arrivo, e mi hanno controllato gli stessi documenti più e più volte: la polizia, il check in, il controllo sicurezza, il gate, l’uscita. Alla fine mezza Italia sapeva chi ero, conosceva il mio stato di salute, sapeva che mio padre era sul letto di morte.

Una volta arrivata a Cagliari, ho aspettato il volo di mia sorella, che all’arrivo ha dovuto fare il tampone in aeroporto. Un’altra ora di attesa per me e di coda per lei, poi il tampone, poi l’impegno a farne un altro ulteriore dopo 5 giorni. Questo prevede la sua ordinanza.

Sono stata in Sardegna 10 giorni, mio padre rimaneva in ospedale e non potevamo comunque vederlo, così sono tornata in Piemonte. Dopo due giorni una crisi, e mio padre è morto. Non ho fatto in tempo a disfare la valigia…

Io e mio marito abbiamo ricominciato con i moduli di Sardegna Sicura, le carte d’imbarco col questionario, le autocertificazioni, e siamo partiti per la Sardegna da Linate, senza scalo questa volta. Ancora code interminabili, ancora domande su chi sono, come sto, ho le mani pulite? ho la febbre? sono residente? ho fatto il tampone? Ma è per necessità? Ma è davvero un’urgenza? MIO PADRE È GIÀ MORTO. Vado a casa. Lasciatemi tornare a casa.

Ora trascorrerò un periodo in cui dovrò fare avanti e indietro con la Sardegna, per la burocrazia che lo stato italiano mi richiede, la successione, i conti correnti, la voltura delle bollette, la pensione di reversibilità di mia madre, e anche e soprattutto perché ho bisogno di stare vicina a madre in questa transizione verso una nuova vita senza marito. Neanche mia madre è più tanto giovane.

E lei, sig. Presidente, il 30 aprile mi ha ancora una volta prorogato l’ordinanza di Sardegna Sicura? Quante code mi farà ancora fare in aeroporto? Quanti moduli dovrò compilare, e poi consegnare a tutti gli addetti e i funzionari della sua burocrazia?

Quante volte dovrò autocertificare la necessità di fare TUTTO QUELLO CHE SERVE dopo la morte di una persona cara?

Lei, sig. Presidente, dovrebbe avere più a cuore gli interessi dei Sardi, non solo quelli che possono esibire un certificato di residenza, non solo quelli che possono votarLa in quanto residenti.”

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