Medicina

L’ ALCOOL E LE SUE VITTIME

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Ogni anno in Italia circa 40 mila persone muoiono per malattie correlate all’alcol: cirrosi epatica, cancro, infarto, incidenti stradali o sul lavoro, suicidi ed omicidi.

Nel nostro Paese, al di sopra degli 11 anni d’età, i consumatori di alcolici sono 35 milioni (78,1% uomini, 35,5% donne) e 8,6 milioni sono a forte rischio dipendenza.

A preoccupare di più sono i minorenni, i giovani fino a 24 anni e gli anziani.

È la fotografia scattata a Bologna durante il XIX Congresso nazionale della Società italiana di tossicologia (Sitox), con un focus sui disturbi da uso di alcol (Dua) e le terapie per liberarsi dalla schiavitù del bicchiere.

Sul fronte farmaci, avvertono gli esperti, «la sfida più dura non è disintossicarsi, ma evitare ricadute». Dopo un anno di trattamenti, «la completa astensione dall’alcol arriva al 45%». Ma come bevono gli italiani? Un consumatore su sei, spiegano dalla Sitox, è considerato a rischio salute per quantità o modalità di assunzione: sono per lo più giovani, uomini e persone socialmente più avvantaggiate, senza difficoltà economiche o con un alto livello di istruzione. Più spesso abitano nel Nord Italia (con un trend in aumento), in particolare nelle province di Bolzano e Trento, e nelle regioni Friuli Venezia Giulia e Veneto.

Per comportamento a rischio – chiariscono i tossicologi – si intende il superamento di due unità alcoliche (un bicchiere di vino, uno di birra o un superalcolico) al giorno per l’uomo e di una per la donna; per forte rischio si intende una quantità superiore alle due unità alcoliche giornaliere, mentre si parla di binge drinking quando si superano le 5 unità alcoliche al giorno per l’uomo e 4 per la donna, consumate in una sola occasione e in rapida successione.

Indipendente dalla modalità del bere, che sia abituale o episodica, al Dua concorrono fattori genetici e ambientali. «Il trattamento in campo alcologico, nelle sue linee essenziali – afferma Valeria Zavan, tossicologa e responsabile della Struttura Alcol, Dipartimento Dipendenze Asl del Piemonte – vede sempre prevalente l’approccio psicosociale inteso come applicazione di terapie di genere cognitivo o cognitivo-comportamentali, a cui si associa una componente farmacologica».

La disintossicazione in fase acuta (passare dall’essere forti bevitori all’astinenza completa) è «relativamente semplice», proseguono gli esperti, con farmaci come le benzodiazepine.

Mentre per la prevenzione della ricaduta in persone già disintossicate «i trattamenti farmacologici disponibili sono principalmente tre: si avvalgono di disulfiram, acamprosato e naltrexone». Questi medicinali funzionano come farmaci anticraving, in grado cioè di disincentivare il desiderio compulsivo di bere prevenendo il rischio di ricadute.

Non eliminano il desiderio della sostanza, ma funzionano inducendo una serie di effetti sgradevoli come vomito e cefalea all’ingestione di alcol, che dissuadono la persona dal bere.

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