Hertz Global Holdings, la più grande e la più antica azienda di noleggio auto, ha presentato istanza di fallimento negli Stati Uniti e in Canada nella giornata di venerdì 22 maggio, chiedendo la protezione prevista dal “chapter 11” americano presso il tribunale fallimentare dello Stato del Delaware. Questo non significa necessariamente fallimento, perché il ‘capitolo 11’ ammette la società ad un piano di ristrutturazione protetto: in caso di mancata riuscita, si attiva il ‘capitolo 7’, che porta alla liquidazione.
Il ricorso al «Chapter 11», ossia la protezione dai creditori, lascia intendere che la compagnia che affitta auto in tutto il mondo da oltre un secolo punta ancora a ristrutturarsi e sopravvivere. Il segnale però è raggelante, e non solo per il suo settore.
I problemi della Hertz non sono cominciati con la pandemia. Gli analisti li fanno risalire già alla crisi del 2008, e poi all’acquisto nel 2012 di Dollar Thrifty per 2,3 miliardi, un prezzo ritenuto troppo alto. Nel 2014 era stata costretta ad ammettere che aveva truccato i conti, pagando 16 milioni di multa, e qualche mese dopo il ceo Mark Frissora si era dimesso.
Il problema è che Hertz dovrà trovare un’intesa con i creditori mentre cercherà di ridimensionare l’azienda, sperando che nei prossimi mesi l’attività si riprenda. La salvezza perció non dipenderà solo ed esclusivamente dal comportamento della compagnia.
Le preoccupazioni interessano anche gli effetti collaterali sull’economia, perché Hertz comprava tutte le auto da General Motors e FCA, che ora si troveranno senza un cliente così importante. L’emergenza è purtroppo globale, come ha sottolineato anche in Italia Giuseppe Benincasa, direttore generale dell’Associazione nazionale Industria dell’Autonoleggio e Servizi Automobilistici. Lui l’ha definita una «tempesta perfetta», perché il crollo dei ricavi è arrivato proprio all’inizio della stagione, quando gli investimenti per affrontarla erano già stati fatti e, solo ad aprile, il settore ha perso il 97%.
A schiacciare il colosso multinazionale, che poteva vantare una storia lunga ben 102 anni, sono stati i 17 miliardi di dollari di debiti accumulati e il durissimo colpo provocato dagli effetti del coronavirus. Hertz deve infatti la maggior parte del suo fatturato americano ai noleggi di auto effettuati negli aeroporti, ma la stretta alla circolazione imposta come misura sanitaria contro la pandemia ha tagliato il fatturato. Come conseguenza, ad aprile Hertz non è stata in grado di pagare i canoni mensili delle auto acquistate per essere noleggiate. E con una flotta di oltre 500.000 veicoli e circa 30.000 dipendenti, la società ha cercato un accordo con i creditori, ma in mancanza di esso si sono spalancate le porte del fallimento, che per ora non riguarda le attività in Europa, Australia e Nuova Zelanda.
La situazione finanziaria di Hertz era zoppicante già prima della pandemia di coronavirus. A fine 2019 il colosso dell’autonoleggio aveva accumulato debiti per 17 miliardi di dollari, ma i ricavi in crescita del 6% a gennaio e febbraio avevano fatto sperare in un miglioramento dei conti. Invece è arrivata inaspettata la tempesta Covid-19, che ha costretto a casa moltissimi americani provocando un crollo della domanda di noleggio. E con centinaia di migliaia di veicoli fermi nei parchegg,i la cassa si è assottigliata rapidamente impedendo ad Hertz di pagare ai fornitori ed alle banche i 400 milioni previsti per aprile. La crisi coronavirus si è abbattuta anche sul mercato auto provocando il calo dei valori delle auto usate, altra tegola per Hertz, che si è vista costretta a pagare di più per auto che valgono di meno.
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