Nato a San Francisco, in California, e subito dato in adozione, Steven Paul Jobs trascorse infanzia e giovinezza tra Mountain View (dove oggi ha sede Google) e Cupertino, nel cuore della Silicon Valley. L’Infanzia segnò certamente il giovane Steve, lo forgiò a diventare un rivoluzionario sognatore del mondo informatico ma lo rese anche fragile e anaffettivo, come la sua stessa biografia racconta.
Abbandonato il college (il Reed College in Oregon), decise infatti di mollare i corsi ufficiali per seguire solo quelli che gli interessavano. Come quello di calligrafia, dove imparò tutto su scrittura, lettere e caratteri: queste conoscenze sarebbero state alla base, molti anni dopo, delle capacità tipografiche del Macintosh.
“Ero molto spaventato da quella decisione che, col senno di poi, sarebbe stata una delle migliori decisioni che avessi mai preso“, disse nel celebre discorso alla Stanford University.
Dopo la grande decisione presa iniziò a lavorare nel mondo dei videogame per l’Atari e in questo periodo strinse amicizia con Steve Wozniak, informatico e dipendente di HP, che gli propose un progetto futuristico: progettare un nuovo computer. Jobs accettò ovviamente, iniziando quel percorso che tutti conosciamo partendo dal proprio garage per l’assemblaggio e la realizzazione del progetto.
Il primo aprile del 1976 i due diedero vita alla società Apple e misero in commercio il primo modello di personal computer. Fu l’inizio di una storia che vide Jobs conquistare nei decenni a seguire il ruolo di amministratore delegato, oltre a quello di uomo simbolo di un marchio destinato a colonizzare il mercato mondiale dell’elettronica.
Oggi, pensando alla rivoluzione digitale ideata da Steve Jobs, dallo smartphone al tablet al sistema per icone, ricordiamo un uomo che, pur essendo dispotico, egocentrico e non sempre assertivo, ha vissuto il mito che insieme ad altri compagni di viaggio aveva creato.
Oggi come ieri, Stay hungry, Saty Foolish.
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