D’improvviso sentii il tonfo del silenzio. Un silenzio terribile, palpabile, che trasformava quella conversazione semiseria, semiallegra, in dramma. Il silenzio è molto più eloquente delle parole, di tante parole inutilmente sprecate quando non si ha nulla da dire, o si annaspa nel tentativo di far capire ciò che non si vuole o non può dirsi.
Inoltre avevo iniziata la conversazione con la sicurezza di rallegrarla, di questo, ero certo, aveva bisogno ed invece, avvertivo, pesantemente, di averla fatta ripiombare in quella tristezza che stava tentando con tutti i mezzi, i più massacranti, di sconfiggere.
Provocavo invece il silenzio e una, se possibile, più lancinante tristezza: perentoriamente tentavo in tutti i modi di tranquillizzarla, ma in effetti cercavo una soluzione per la mia tranquillità: fingere che il fatto di incontrarla, e di parlarle a lungo, così a lungo, non voleva né poteva essere altro se non un rapporto di sincera amicizia.
Ma aveva provocato una esplosione talmente violenta nella mia vita, o almeno di quello che restava di essa, che non m’era possibile dire tutto il contrario di ciò che volevo e, nel tentare, saliva impetuoso quel desiderio che mascheravo cercando di dimostrarne l’assenza.
Doveva essere in verità un gioco a carte scoperte, senza barare e senza disinganni, ma diventava l’opposto: baravo spudoratamente ma soprattutto con me stesso. Perché c’era sicuramente la volontà di evitarle qualsiasi malessere e di tutto aveva bisogno in quel momento tranne che di un altro uomo, e che uomo poi, vecchio nel corpo e nei desideri e stupido come un quindicenne nell’animo. Per salvarsi avrebbe dovuto urlare in quel momento e buttare giù la cornetta. Invece quel grande silenzio poneva il dubbio in maniera ancora più atroce e incomprensibile o, almeno, rendeva tutte le supposizioni possibili: s’era intristita o arrabbiata, o tutte due le cose. E soprattutto desiderava buttare giù la cornetta e non sentirlo più, oppure il suo desiderio costante di farsi ancora del male, la tratteneva dall’azione che avrei giustificato.
Sebbene avessi questi tormenti continuavo a chiedere ugualmente e stupidamente se fosse stata qualcosa da me detta ad averla rattristata o addirittura offesa. Così per convincermi di avere interrotto un concerto fin qui eseguito con estremo equilibrio un gioco non troppo pericoloso considerando il piacere ch’era possibile provarne..
Possibile che tutte le letture e le esperienze mi rendessero inconsistente e banale?
Oppure era l’età che mi confondeva facendomi aggrappare a quello squarcio insolito di vita, avuta così misteriosamente in regalo, insperata perfino da giovane?
La conversazione finì con un breve, secco saluto, tenendomi in ansia per molto tempo. La rividi presto. La maniera di guidare era quella di una ragazzina esperta che già ad otto anni aveva provato la macchina sportiva di papà. Guardavo le sue mani che si appoggiavano al volante con estrema leggerezza ed il contachilometri che segnava centoquaranta. Non avevo il minimo timore, forse la sua estrema sicurezza e grazia al tempo stesso mi mettevano in condizione di grande serenità. Almeno da quel punto di vista, diverso era il fremito che mi prendeva, rendendomi ancora più rigido, se la guardavo in viso.
Un viso insolito, magro e al tempo stesso ricco di calore come di bambola paffuta, con labbra simili ad un personaggio dei fumetti, per come si muovevano, per come pronunciavano le parole che contenevano le c seguite dalle a e dalle o: chiudeva strette a cerchio quelle sue labbra rosse, carnose, sensuali. E non so quante volte le avevo detto che non aveva nulla di sensuale. Lo dicevo con estrema sincerità, perché in effetti guardandola nell’insieme non mi sembrava particolarmente eccitante.
Gli occhi limpidi e liquidi, in un continuo stravolgersi dal divertimento alla tristezza. Sembravano precipitare di colpo, magari subito dopo aver riso, di quel riso allegro, di bambina, come se piombassero nella disperazione più nera e nella necessità di pianto.
Però non la immaginavo nell’atto di piangere, nel senso che non potevo immaginarla, nella sua stanza, stretta al cuscino, piangere.
Avevo teso inutilmente la mano, prima verso la sua che stringeva il cambio, rendendomi conto dell’inutilità del gesto poi, dimenticando che qualsiasi gesto teso verso il suo corpo fosse inutile, o con quella giustificazione ancora più stupida del voler dare la sensazione di calore umano, di vicinanza o chissà che altro, abbozzai una carezza al suo cappotto, pesante e che copriva almeno due maglie. La magia dei gesti è qualcosa che non ho mai capito nell’accadimento personale epperò nei film quegli stessi gesti mi appaiono talmente delicati e nobili!
Nei film c’è la colonna sonora che rende meglio tenerezze e atrocità e lei, quel mattino aveva il registratore dell’auto rotto e così mancava la voce calda e sensuale di Paolo Conte o chissà lo struggente allegro di una sonata di Mozart.
«Come stai?» chiesi infine, non aspettandomi nessuna risposta che comunque avrebbe sicuramente provocato altre domande cretine.
«Come stai?» chiesi per sentire la mia voce terribile di stanchezza di tanti mesi in giro per l’Italia che mi avevano fatto cambiare tanti letti e tante temperature. Era il mio primo giorno di libertà: non avevo nessun impegno, ero libero senza appuntamenti dopo sei mesi di intensi incontri che mi avevano fatto sperare in un mutamento di vita, almeno sul piano economico. Avevo sì sperato la fine di tutti quegli incontri letterari: presentazioni conferenze, premi ma adesso ch’era finita e che niente si presentava nel prossimo futuro mi sentivo vuoto e nudo.
Forse anche questo contribuì, in quella splendida mattina invernale, ricca di sole e di feste che avevano provocato il deserto perle strade, a farmi sentire come un fallito che si aggrappa ad una occasione e tanto più cerca di stare attento e di misurare gesti e parole tanto più diviene goffo e brutale.
Tutto questo sentivo mentre costretto a scendere dall’auto iniziavo con lei una improbabile passeggiata su un molo fetido, con pochi passanti forse come me o come noi, senza speranze.
Eppure nel narrare mi rendo conto che questo incontro, dettato dal gioco e dal caso, che si era presentato come una festa per le mie emozioni, nel racconto della memoria, appare come un incubo.
Viola aveva i genitori divorziati ed era a conoscenza delle storie amorose che vivevano al momento attuale, storie che parevano allietarla, sarebbe tornata a pranzo dalla madre che aveva ospite il suo uomo. L’aveva detto di colpo ed io che non ero stato informato di quanto tempo sarei rimasto con lei, mi sentii invaso da una profonda tristezza e insieme rabbia impotente nel sentire che avrei dovuto fare in fretta, fare in fretta, cioè fare in modo che dopo quell’ora trascorsa insieme, volesse ancora rincontrarmi.
Volle telefonare al padre e quella conversazione breve, intensa e tenerissima me la fece amare dolorosamente. Cioè la rese in quel momento ai miei occhi una creatura di questo mondo, vera ed inconfondibile. Senza volere o forse approfittando che stava al telefono e quindi senza difese la strinsiforte, ai fianchi. Avvertii più che sentire il suo corpo immobile e muto. Insieme sentii quel senso di malessere subito dopo l’incredibile tenerezza che il suo corpo mi aveva provocato. Un tumulto carico di tensioni diverse che ancora oggi non sono riuscito a comprendere: una matassa incomprensibile di fili che si tendevano verso il ragno rimanendo a loro volta impigliati.
Da lì, da quell’esatto momento, da quelle brevi frasi scambiate col padre, è nato il desiderio profondo per Viola: desiderio di amarla, e contemporaneamente di non avere assolutamente rapporto con il suo corpo. Una lotta tremenda che ho intrapreso con me stesso e che ha provocato la mia trasformazione fisica.
Ho visto molta gente divenire brutta a causa di malattie, donne trasformate dalla morte di un figlio, diventate rapidamente vecchie a trenta o quarant’anni. Ho visto annegare nel vino giovani bellissimi che in poco tempo si mutavano in ruderi ed ho visto le distruzioni provocate dall’eroina.
Niente di tutto questo, nessuna tragedia m’era accaduta, nessuna malattia avevo contratto, ma da quel momento il mio corpo si è modificato: i primi giorni lentamente, qualche foruncolo e dei dolori alle ossa, poi sempre più rapidamente la pelle si afflosciava su di un corpo che sembrava scarnificarsi.
Il giorno dopo la nostra passeggiata tentai di raddrizzare quell’errore commesso, quel volere a tutti i costi toccarla. Non m’era bastato sfiorarla continuamente, avevo proprio la necessità di toccarla, farle sentire che la stavo toccando! Avevo cercato i suoi seni, forse, non ne sono certo, eppure volevo convincermi di aver sentito il capezzolo indurirsi.
Nessuna esperienza insegna dinnanzi al desiderio profondo di appagarsi e, stupidamente continuavo a carezzarla finché non mi sentii inutile e goffo. Ancora una volta. L’indomani le raccontavo come lei fosse stata assente, come un episodio accaduto con un’altra. Aggiungendo pure che non la desideravo, anzi che la desideravo talmente tanto da non volere mai fare l’amore con lei!
Tornava sicuramente la paura cattolica. O tornava la speranza ch’era possibile amare senza che il desiderio si appagasse e ciò portasse a fine il desiderio stesso. Possibile che possa essere sempre così? Eppure avevo sempre desiderato di desiderare all’infinito! Forse era questo, ma lo disse lei. Lo disse per prima, spiazzandomi.
Ma aggiunse anche qualcosa che non avrei immaginato, almeno così presto. Disse una cosa che ne dimostrava due: che non era giusto che lei fosse responsabile di un turbamento qualsiasi e mia moglie, che non poteva vivere con sensi di colpa a causa del mio intristire. Così, mentre profondamente mi rattristavo, insinuava il dubbio che ero o potevo essere io l’oggetto del suo desiderio. Senza saperlo.
Errore di sincerità che la rendeva ancora più desiderabile. Anche lei che aveva condotto il gioco con estrema cura ed intelligenza, aveva fatto l’errore di confermare quello che fino ad allora era appena un sogno, un desiderio della mente, un paradiso da attendere.
Questa conversazione fu brevissima ed io non potevo parlarle più per diversi giorni. Giorni lunghissimi noiosi e tristi e giorni nei quali incominciai ad invecchiare con estrema velocità.
Mentre affettavo il pane vidi sollevarsi lentamente, seppur vistosamente, le vene delle mani. Ebbi paura, ma pensai a qualcosa di provvisorio e riuscii a tranquillizzarmi, finché non mi spogliai per andare a letto. Vidi le vene delle gambe quasi fuori dalla pelle e grossi foruncoli, come dei bubboni lungo tutto il corpo.
Lo dissi a mia moglie che si allarmò non poco e spalmò una pomata, convinta che avessi mangiato, con la mia mania dei dolci, qualcosa che mi avesse fatto male. Sarà stato un caso, ma l’indomani allo specchio, mi sembrò che la barba fosse diventata più bianca e meno dura e le occhiaie fossero più profonde. Apparivo più vecchio almeno di cinque anni. Certo, a volte accadeva, dopo lunghi periodi faticosi, di sentirmi molto più vecchio e stanco e cercai in qualche modo di tranquillizzarmi.
Dormii a lungo, per diversi giorni, quasi ininterrottamente, mi svegliavo per bere e mangiare e subito dopo, di nuovo a letto, dormivo. Dormivo e sognavo Viola. Mi svegliavo e pensavo Viola. Il mio corpo sembrava precipitare: la testa mi appariva pesante e me la sentivo scendere lungo le caviglie. Dormivo come non avevo mai dormito e svegliandomi, non riflettevo sulla mia condizione, pensavo subito a Viola. Pensavo all’interruzione di un sogno appena iniziato, ad un desiderio che con uno strappo simile, diventava ancora più cocente.
Avrei voluto sognarla in un letto di piume, visibile riversa e nuda. La luce rifletteva sul corpo rendendole dorate le caviglie, le cosce, i glutei. Potevo guardarla dormire mentre sognava i suoi sogni che non mi contemplavano, dove non potevo essere incluso in alcun modo. Lei non poteva e non doveva vedermi: la luce, sebbene smorzata, inondava solo lei. Io, vecchio e laido rimanevo invisibile nel buio. Così potevo avvicinarmi ed osservarla e, sebbene pensassi che nulla più avevo d’attendere se non la morte e che la vecchiezza incombeva rapidamente, ricordai Kavabata, i suoi libri, le storie stupende, lancinanti ed impossibili, storie d’amore, dove il sesso era pulito e vecchi saggi amavano ragazzine dal profumo di rosa.
Allora, ero molto giovane, quei romanzi m’incantavano, non trovavo in quelle storie straordinarie di sesso nulla di sporco. Avrei dovuto, data l’età, provare fastidio, ma forse, proprio allora, quindicenne ero innocente, e provavo grande tenerezza per quei vecchi e le loro giovanissime compagne di giochi d’amore. Mentre oggi ho repulsione di me, al solo pensarci. Eppure ci penso. E continuo a vederla, Viola, dalla pelle di luna ridente, col viso triste e sornione mentre dorme senza sognare me. La sento vivere nel sogno turbata dall’amore che la prende, la rende viva, felice e pulita. Ne sento gli spasimi, la sento godere di piacere tenero all’infinito. Vedo la sua pelle tendersi. Ho paura di avvicinarmi, ma il desiderio incombe e la certezza di non essere visto nel mio corpo ricco di tenebre, mi spinge a toccarle, delicatamente, i piedi.
Sembra sentirmi e si muove teneramente, le sfioro con le dita le sottili caviglie e vado su, chinandomi, baciandola.
Per fortuna mi sento leggero, e sebbene tremante, il mio corpo non fa fatica nel rimanere chinato. Continuo a baciar-la su per le cosce, senza toccarla se non con le labbra. Sento le vibrazioni che la percorrono mentre la sua pelle si tende come a cercare la mia bocca. Sento che potrei mangiarla. Sento la mia lingua che l’avvolge interamente. Mi sveglio spossato, sudato con la certezza che non mi potevo essere permesso neppure in sogno un tale immenso, inusitato piacere. Forse una fortuna l’assenza di forze. La voce si era talmente abbassata che più di un amico, telefonandomi, aveva subito consigliato un controllo e giù ad indicare specialisti di grande bravura. Per la verità mi rammaricavo soltanto al pensiero che neppure lei avrebbe più potuto sentire la mia voce al telefono, né potevo farla chiamare da mia moglie.
Aspetto così che la voce ritorni, solo questo. Anche se le vene sono tutte ingrossate e sembra stiano per esplodere; i foruncoli duri come dei bubboni non hanno voglia di aprirsi; la barba è diventata una peluria bianca in una pelle piena di rughe profonde. Non ho neppure un amico a cui scrivere di telefonarle.
Mia moglie mi fa compagnia, ha preferito portarmi in ospedale per le analisi, per capire cosa mi stia accadendo, perché dormo quasi sempre, ma io so che quando mi sveglio penso a Viola, ma la speranza di continuare a sognarla mi fa passare la voglia di svegliarmi. Mia moglie prima veniva a trovarmi due volte al giorno, poi rendendosi conto dell’inutilità della sua presenza, ha preferito diradare le visite, la sento che mi sorride perché di vederla non la vedo quasi più. Così non so neppure se viene ancora, ogni tanto. Aveva cominciato lei, mi ricordava Lolita, qualche battuta e aveva ragione, lo avevo scritto tante volte, avevo cercato di convincere gli amici: si invecchia quando non si ama più. E allora? com’era possibile che mentre stavo amando così intensamente, precocemente e velocemente invecchiavo. Eppure non aveva assolutamente fatto una sola battuta ironica sull’età che ci separava così drasticamente, anzi, per lei era normale. Si trovava benissimo con me, quasi un coetaneo, diceva, solo che i coetanei sono perlopiù stupidi e vogliono solo l’atto conclusivo del rapporto amoroso, quello più insignificante. Ma anch’io tentavo di dirle, anch’io voglio toccarti.
«Quando tu mi tocchi, però io lo sento, sento che non hai brutte intenzioni…» e rideva contenta. Anche questo sapevo, condividevo, ero certo. Si sentiva pulita. Anche io. In teoria. Poi non facevo che tormentarmi cercando di allontanarmi da quella voglia di lei, una forza straordinaria che così, da sola, per il solo fatto d’esserci, mi aveva pacificato con il mondo intero. Eppure non riuscivo ad essere convincente a me stesso. La immaginavo ancora dormire, forse perché così non avrebbe visto che ero lì a guardarla. Dalla finestra aperta un raggio rendeva il suo corpo ricco di movimenti di luci e di ombre. Si era addormentata con le poesie di Paul Éluard aperte con il dito in mezzo. Era forse il poeta che preferiva.
Avrei voluto essere Éluard ed essere amato così, essere portato nel letto senza alcuna preoccupazione: Éluard era più vecchio di me. Questa volta stava sul fianco, con le ginocchia piegate quasi al viso. Certo di non essere scoperto, mi sono coricato accanto a lei, piegando il mio corpo che combaciasse con il suo. Con tutte e due le mani ho preso a carezzarle i capelli che scendevano lungo le spalle. Sentivo il desiderio pulsare forte ed il tremore di essere scoperto rallentava i gesti. 11 mio corpo teso verso il suo sembrava ringiovanito erano spariti i bubboni e le vene, sebbene impazzite nel fluire più intenso, non si vedevano più. Guardai il mio sesso, senza riuscire a vederlo, mentre la cercavo e lentamente, delicatamente la sentii muoversi, fino a stringersi a me. Forse aveva freddo e questo pensiero ancora una volta, mi dava una scusa plausibile per starle Vicino, a riscaldarla. Mi sentii dentro di lei, e mi sentii volare. Sembrava una danza eseguita da chi non ha più peso. Ero assolutamente pazzo, ebbro di gioia e di desiderio. Sapevo di sognare, adesso sì. Eravamo l’uno dell’altra senza alcuna possibilità che il desiderio diminuisse. Ora, in questo esatto momento la paura non mi intrappolava più e potevo fare l’amore senza smettere mai, senza quella stupida conclusione che, spesso, dopo l’accendersi di una più stupida sigaretta, fa dire: «Ti è piaciuto?» “Ti è piaciuto?” Oppure scappare in bagno stracolmi di sensi di colpa. La tenera insicurezza della prima volta successivamente si sposa con la tracotanza dell’abitudine. Non avremmo vissuto tutto ciò. Noi stavamo e saremmo rimasti l’uno dentro l’altra, sempre. Eppure non aveva neppure la patente!
Era freddo e buio quand’era arrivata di corsa dentro la mia vita? So di essere in corna. So di esserlo da tanto tempo, anche se non so esattamente quanti anni. Qualcuno l’ha detto. Corna profondo, come profondo è il mio amore per Viola che solo in questa situazione non potrà trasformarsi per diventare come tutti gli altri amori. So che se mi sveglio la perderò per sempre. Sicuramente intrappolata anche lei da qualche emozione. Spero che qualche imbecille non riesca a fare approvare la stupida legge sull’eutanasia! Non ho nessuna voglia di svegliarmi, perché quando dormo adesso la sogno sempre, Viola.
di Beppe Costa
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