La sorella di Gino non andava bene. L’avevo pensato sin dall’inizio che non andava, eppure non potevo e non posso fare altrimenti.
Ero tornato da poco dal Nord e, data la vita che vi conducevo, avevo scordato certe differenze di costumi, anzi ero convinto che la civiltà fosse arrivata sino a noi.
Ora, per essere franchi sin dal principio, dato il nostro rapporto intimo autore-lettore, per civiltà da noi s’intende la possibilità di portarsi a letto, senza paure di sorta, Maria, Francesca, Giovanna e perché no, anche sua madre.
Noi, giovani del Sud lo sappiamo tutti di cosa si tratti, ma gli altri o non lo sanno o fingono.
Ad avvalorare questa mia convinzione, tornato in paese vi trovai delle strade nuove, fabbriche, case tipo alte e Kawasaki, al ché, pensai soddisfatto, oltre a quattro campagne elettorali, fossero, perché no, saltate le annose differenze che ci separavano dai paesi civili che stanno al Nord. Ed invece c’erano!
Esattamente come sette anni prima mi sentii rispondere con sorrisi maliziosi: «Non è possibile, sai, mamma… » oppure: «Ma per chi mi prendi?» e: «L’aria del Nord ti ha dato alla testa?» e tante, ma tante altre frasi dello stesso genere. Abituato ormai a fare l’amore ogni giorno, magari con la padrona della pensione quando altro non c’era, mi agitai parecchio quando, giù nel corso, salutando le vecchie conoscenze, proposi di andare al cinema o in macchina o quantomeno per i campi, dato lo sfegatato amore che tutti pare abbiano per la natura in questi tempi.
Fu così che mi ritrovai da Lucia, sorella di Gino. Erano essi di madre ciociara e di padre morto, ci conoscevamo da gran tempo con Gino, ragazzo moderno, arioso e, anche lei. risultò, solo ch’era brutta. Brutta che neppure l’Espresso, nei suo tanti servizi sul grasso, sul brutto, sull’imbecille aveva mai avuto il coraggio di puntare seriamente l’obiettivo.
Anche la fame più nera in passato mi aveva spinto a rifiutare, ma, ora, cresceva e più i giorni passavano, più mi sentivo cannibale.
Purtroppo tutti i miei giri e tentativi per tentare di placare quella terribile carestia furono inutili, così da ritrovarmi la sera con Lucia a guardare la televisione. Verso le ventidue. la madre si addormentava russando irriguardosamente in presenza del colonnello Bernacca, la ragazza mi invitava ad uscire nel giardino di casa, e va bene! non c’era altro da fare. D’altronde quando mi faceva le carezzine sul collo e nelle orecchie mi eccitavo lo stesso anche s’era brutta e, io poi, evitavo di guardarla.
Ogni mia speranza era ormai naufragata. Nessuno, anche Gino lo confermava, si lasciava trascinare fuori di sera ma neppure di giorno da quando Francesca, che all’imbrunire stava sempre in casa a preparare da mangiare, aveva messo su pancia.
Mi sentivo un po’ incastrato mentre Lucia borbottava al mio orecchio poesie capovolte di Neruda e Ungaretti dicendole sue e comunque male; fatto questo che mi faceva arrabbiare ancora di più, dato il rispetto che ho delle ‘lettere’. Ma lei continuava a solleticarmi, sollecitandomi le pulsazioni del sangue, poi mi chiedeva da quando m’ero
accorto di lei, da subito! In cuor suo sapeva che prima o poi sarei arrivato a una qualche conclusione.
Sin da piccola, confessava, nutriva la speranza che ci saremmo tenuti per mano, passeggiando così, in giardino.
In cuor mio pensavo che gli occhi era facile chiuderli, ma tapparsi le orecchie era praticamente impossibile.
«M’insegni a baciare? perdonami – molto timidamente – ma sono così poco pratica». Infine una sera rafforzò il suo attacco, sussurrandomi:
«Ma io non lo so fare… » e non potei dire altro, era passata con la sua bocca, la sentii pelosa, a mordicchiarmi il naso e le labbra ed usciva anche la lingua!
Mi buttai a capofitto sulla sua spalla, stringendola, solo così, pensavo, potevo evitare danni peggiori e potevo non guardarla. Fu evidente che non capì. Prese quel mio seppur modesto rifugio per un gesto d’amore appassionato e venne giù, in picchiata, con la testa a baciarmi il petto, mi trascinò per terra, mentre la voce di Bernacca minacciava tempeste, sentii le sue mani lì dove, a maggior ragione, ero più teso, mi sbucciò degli abiti, dicendo fra una pausa e l’altra e fra un rantolo e un mugugno: «Caro, caro! ti piace così, ehhh! monello, ti piace?»
Mi ammorbidì nel corpo e, secondo lei, anche nell’animo, perché adesso, sarà strano, ma ci vado anche al mattino, quando la madre poi, ritorna dalla spesa, sembra sapere e mi prepara due uova al tegamino, oppure sbattute col marsala, o del tipo tramezzino che lei conosce e sa ben fare, quasi come a Roma.
Io, malgrado tutto, che poi altro non è che la bruttezza, mi trovo adesso meglio così con la nostra civiltà del Sud che non ha niente da invidiare alle altre.
di Beppe Costa
(foto copertina: Dino Ignani)
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