Sono passati ormai 28 anni da quel 23 Maggio 1992, quando quattrocento chili di tritolo fecero saltare in aria un tratto dell’Autostrada A29 vicino Palermo, all’altezza di uno svincolo a pochi chilometri dall’Aeroporto di Punta Raisi (oggi Falcone e Borsellino). 28 anni in cui non siamo ancora stati “Capaci” di trovare i mandanti del più grosso attentato allo stato che si ricordi nel territorio italiano. Perchè quello fu un attentato allo stato, dal momento che lo “stato siamo noi”, come diceva Calamandrei. Il 23 Maggio del 1992, l’esplosione che colpì a morte il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti di scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, aprì una voragine all’intento di una nazione, intesa come collettività. L’attentato realizzato da “Cosa Nostra”, così venne definito il sistema mafioso siciliano, aveva i tratti più di una vendetta che non di un’esecuzione tra due acerrimi nemici. Per anni abbiamo ritenuto che la Mafia avesse cambiato il suo modus operandi, che avesse affinato la tecnica intimidatoria decidendo di aprire un fronte diretto con lo Stato. Invece, col tempo, scoprimmo che quella non era una guerra contro lo stato bensì una lotta contro chi teneva in vita e dava dignità allo stato. Se dopo 28 anni il nostro paese non conosce ancora i mandanti effettivi di quella strage, significa solo due cose: o l’apparato investigativo italiano non funziona, oppure una parte dello stato sapeva ed era al fianco nell’eliminazione di chi aveva da sempre scelto da che parte stare. In questi anni siamo passati dal definirlo un delitto di mafia a ritenerlo un omicidio di stato, perchè quando il giudice Falcone decise all’ultimo momento di andare con un volo privato da Roma a Palermo, era difficile che un apparato feroce ma ancora rudimentale nell’organizzare gli attentati, potesse prevedere e azzeccare tempi e orari. La tecnica usata in questo attentato sapeva più di organizzazione militare che non di mafia agricola o pastorale come eravamo abituati fino a quel momento. Se dopo il Maxi Processo, la più grande vittoria di Falcone e il pool, Totò Riina e i suoi “bravi” avevano già preso la loro decisione, qualcuno lasciò fare. Quel qualcuno non era solo la mafia. Giovanni Falcone fu ucciso una prima volta quando venne destituito dai sui stessi colleghi, che gli voltarono le spalle quando 19 gennaio 1988 venne nominato Antonino Meli capo dell’Ufficio istruzione di Palermo. Come disse lo stesso Caponnetto, da quel giorno “Falcone ha iniziato a morire”.
Oggi ho provato ad immaginare un’intervista al giudice Giovanni Falcone, dopo 28 anni passati lontano dalla sua Italia.
Io: giudice Falcone, cosa pensa della situazione italiana oggi?
Falcone: nulla è cambiato, la mafia era dentro lo stato allora, lo è ancora oggi.
Io: non c’è speranza quindi?
Falcone: si sbaglia, finchè ci sono persone che combattono, la Mafia potrà, solo vincere delle battaglie, mai la guerra.
Io: cosa pensa di quello che è successo negli ultimi mesi in Italia e nel mondo, con questo virus che ha costretto tutti a rimanere chiusi dentro le mura domestiche?
Falcone: ho guardato da lontano la cosa, con sommo dispiacere, per le vittime del virus e per i loro familiari. Ma non sono sorpreso di quello che ho visto.
Io: cioè? Si spieghi?
Falcone: ho visto gruppi di persone che, nonostante tutto, creavano continui assembramenti.
Io: immagino, ma sa, è normale ora pare che il virus stia calando secondo le curve di contagio.
Falcone: io non mi riferivo al virus, parlavo dei continui assembramenti tra politici e mafiosi, all’intento di bar, uffici, amministrazioni. Quella parabola non è ancora calata.
Io:…
Falcone: la Mafia agisce quando lo Stato latita. Lo Stato latita quando è più interessato a mantenere i propri privilegi, piuttosto che badare alla collettività. Quando qualcuno si frappone tra lo stato e i suoi interessi, vince lo stato. Sempre. Ecco, io ho combattuto quel tipo di stato.
Io: per questo è morto? Sapeva veramente che avevano preso il tritolo per lei? Che, sono sue parole, “la mafia mi ucciderà quando gli altri lo decideranno”?
Falcone: tutto esatto, tranne per una casa. Io, come può vedere, sono ancora qui. La memoria non si cancella, nè col tritolo nè con le offese. La memoria viaggia e si posa solo quando trova una persona in grado di rimetterla in gioco.
Io: grazie Giovanni, spero che un giorno le pagine dei libri di storia italiana menzionino tra i Padri della Patria da studiare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Falcone: potrebbe succedere, visto che la storia viene scritta dai vincitori e non dai vinti. La saluto, ho appuntamento con Paolo perchè ultimamente è sempre distratto e non riesce ancora trovare la sua agenda rossa dove appuntava alcune sue memorie …
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