Si trova ancora ormeggiato nel porto di Cagliari l’Ebony Shine, yacht da 75,75 metri appartenente a Teodoro Nguema Obiang Mangue, vice-presidente della Guinea equatoriale nonché figlio dell’attuale presidente Teodoro Obiang, accusato da più parti di guidare con il pugno di ferro il Paese dal 1979. L’agenzia Dire è stata in grado di immortalare il natante multipiano da 100 milioni di dollari fermo nel capoluogo sardo su cui sventola la bandiera delle isole Cayman ma anche quella dei Quattro mori, tuttavia non è stato possibile verificare se ‘Teodorine’ – questo il soprannome del vice-presidente – si trovi a bordo o meno.
Sempre all’agenzia Dire Riccardo Noury, portavoce di Amnesty international, commenta così la vicenda che ieri è stata confermata per prima dalla testata locale Sardinia Post: “Se davvero Teodorine Obiang si trovasse a Cagliari, sarebbe una vergogna per l’Italia”.
Il responsabile ricorda che sul 52enne pesano due “condanne spiccate negli Stati Uniti e in Francia per reati economici”, in particolare corruzione e riciclaggio di denaro.
“Nel suo Paese– prosegue Noury- presiede da anni a una spietata repressione che vede vittima, tra gli altri, anche il cittadino italiano Fulgencio Obiang Esomo, che sta scontando una condanna a 60 anni di carcere per una inesistente accusa di tentato colpo di Stato ai danni del padre di ‘Teodorin’, il dittatore Teodoro Obiang”.
Da alcuni giorni si susseguono voci sulla presunta visita del vice-presidente guineano in Italia, dopo che sul profilo Instagram di quest’ultimo è comparsa una foto che lo immortala sul Lungotevere, nel centro di Roma.
“Sarebbe andato a fare shopping nelle boutique del centro- accusa Noury- e poi a Cagliari col suo sontuoso yacht”.
Il portavoce di Amnesty conclude: “Le visite della famiglia Obiang in Italia – Vaticano incluso, dove Teodorin è stato l’ultima volta nell’aprile di quest’anno – a fronte della gravissima situazione dei diritti umani in Guinea Equatoriale che ha coinvolto a più riprese cittadini italiani, dovrebbero imbarazzare le autorità del nostro Paese”.
La Guinea equatoriale è un Paese ricco di risorse naturali tra cui petrolio, oro, uranio e diamanti, ma secondo le principali organizzazioni internazionali oltre la metà della sua popolazione – appena un milione e quattrocentomila abitanti – vive al di sotto della soglia di povertà. Il presidente Obiang, al potere da 42 anni e secondo gli analisti pronto a cedere il comando al figlio Teodorin, è stato investito da diversi scandali e viene spesso indicato come un esempio di “cleptocrazia”, ossia uno Stato la cui classe dirigente, simulando i meccanismi della democrazia, saccheggia le risorse senza lasciare molto alla popolazione in termine di benessere e servizi. A questo si aggiunge il tenore di vita del “delfino” Obiang, di cui spesso la stampa internazionale scrive della sua passione per il lusso e dei suoi problemi giudiziari: nel 2016, la magistratura svizzera gli sequestrò undici automobili tra cui si contavano delle Bugatti, delle Lamborghini, e delle Ferrari, del valore di 27 milioni di dollari.
Il primo produttore di petrolio dell’Africa Sub-sahariana ha problemi anche con i diritti umani. Nell’ultima edizione del suo Report annuale, Amnesty international ha denunciato diverse violazioni nel Paese, a partire da “un giro di vite sull’attivismo”.
“Le autorità – si legge nel rapporto – hanno vietato oltre 20 dimostrazioni sulla scorta di motivazioni vaghe e oltremodo generiche, le forze di sicurezza hanno continuato ad alimentare la violenza durante le manifestazioni e lo scorso anno sono rimaste uccise almeno 17 persone”.
A giugno invece la Ong ha denunciato che in Guinea Equatoriale “centinaia di prigionieri languiscono in carcere per anni, senza possibilità di ricevere visite dei loro avvocati o familiari. Queste persone dimenticate, molte delle quali imprigionate al termine di processi infarciti di irregolarità, si trovano in alcune delle più famigerate carceri del mondo, come quelle della ‘Spiaggia nera’ di Malabo e quella di Bata”. Alcuni anni fa, continua l’organizzazione, “un prigioniero appena rilasciato descrisse la prigione della ‘Spiaggia nera’ come una sorta di buco pregno dell’umidità che arrivava dal mare, in cui si viveva in condizioni inumane, in cui la tortura era la regola e la vita dei detenuti era messa a rischio dal sovraffollamento”.
Fonte: comunicato Agenzia Dire
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