Inaugurata, oggi 14 Maggio, la mostra dal titolo “DOMESTIC FLIGHTS“, a cura dello Storico d’Arte Ivo Serafino Fenu. Un ritorno alla “normalità”, al concreto e all’arte da vedere e da toccare. In questi anni di pandemia, di chiusure forzate, aperture col contagocce e realtà virtuali, riprende timidamente la vita del mondo dell’arte, tra i più flagellati dal covid 19.
Riprendiamoci gli spazi, riprendiamo le vecchie consuetudini: l’arte abbatte i muri, cancella i confini, accresce la speranza verso il futuro. Presso la GALLERIA CROBU ART&DESIGN, sarà possibile ammirare le opere di Marcella Vanzo, Giulia Casula, Fabio Frau, Fabiola Ledda, Benedetta Marcia, Veronica Paretta, Pastorello, Egle Picozzi, Rachele Sotgiu.
Lascio alle parole del curatore il compito di guidare l’occhio dei visitatori, perchè visitare una mostra è un po’ come partire per un nuovo viaggio, dove la destinazione è sempre una felice sorpresa.
Testo di Ivo Serafino Fenu
Confinati obtorto collo, malgré nous … a marolla! (in Sardo campidanese).
Rinchiusi tra le mura domestiche in una dimensione costrittiva che, in era pre pandemica, sarebbe stata difficile immaginare se non in qualche improbabile b-movie.
In cattività dunque, chiusi in casa, in quella casa che da sancta sanctorum della famiglia, oasi della quiete e dell’armonia, spazio protettivo e rassicurante nel quale tornare dopo una stressante giornata di lavoro, luogo di un’agognata quanto improbabile e spesso innaturale “normalità”, diventa improvvisamente prigione che, metaforicamente, si fa “mondo” esclusivo e coercitivo. Casa che, da teatro del quotidiano, delle sue miserie e delle sue tragedie, diviene un “non luogo” pregno di fascino destabilizzante, uno spazio mentale nel quale dentro e fuori appaiono categorie relative e intercambiabili, casa-palcoscenico ideale per domestic flights, da intendersi, giocoforza, nel senso più letterale possibile. Di quei mesi interminabili, appesantiti da un ozio forzato che a molti ha fatto rimpiangere la consueta fatica del vivere, rimane poco, ombre per lo più, impronte di corpi e segni sui corpi, di corpi incombenti e assenti al contempo, di una corporalità anch’essa, molto spesso, negata o da guardare e vivere con estrema diffidenza.
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