Nell’ambito del progetto “Distanti ma uniti. Casa Sardegna on line”, promosso dal circolo di Ciampino “Grazia Deledda”, con la collaborazione di tutti circoli che vi aderiscono, sabato alle ore 14.00 (ora italia) si è svolto l’evento “Mascheras- Quando indossare una maschera non è folclore ma pura identità di appartenenza di un popolo”.
L’evento si è svolto sulla piattaforma zoom.us, in collegamento live streaming con la piattaforma del progetto e quella del giornale online AJò Noas.
Ha aperto l’evento il Presidente del Circolo Grazia Deledda di Ciampino, Pierluigi Frigau, che facendo gli onori di casa ringrazia i presenti sulle varie piattaforme, presenta e ringrazia i vari ospiti, e coglie l’occasione di ringraziare il Maestro Francesco del Casino che ha fatto dono al progetto di tre bozze di logo, che sono state messe in democratica votazione e la conseguente adozione di quello risultato vincitore.
L’introduzione dell’evento è stata affidata a Giuliano Marongiu, noto presentatore delle TV dell’Isola e anche fuori, oltre ad essere un ottimo cantante.
Giuliano ha evidenziato che le luci del carnevale si sono appena spente, anzi non sono state accese, se non in modo virtuale, a causa dell’emergenza sanitaria Covid, parlarne non è anacronistico. I carnevali sono dentro di noi, ”la Sardegna è un viaggio nel tempo che ha saputo conservare la memoria”, è un viaggio nel mistero, nei riti , nei miti, nelle feste, nelle tradizioni nei canti nelle danze del “nostro appartenere ad una terra ed una sua storia”, e prosegue evidenziando che essere un Isola, ha si, rallentato il cammino dei vari passaggi della storia, ma questo essere Isola, ci ha protetto “rendendo unica la nostra storia”. Chi attraversava il mare per arrivare a noi, si accorgeva e si accorge “della varietà di elementi che arricchiscono la nostra cultura”, le lingue: spesso paesi non molto lontani non usano lo stesso “vocabolario”; i vestiti tradizionali: una moltitudine di abiti che contraddistinguono una località, un territorio, circoscrivono appartenenza identità provenienza territoriale. Giuliano partendo da queste premesse arriva ai carnevali. Sottolinea non il Carnevale. I Carnevali. Tanti. Differenti. Dietro la maschera c’è l’identità di un popolo, non è folclore. Attraverso la maschera ci si identifica. Il carnevale in Sardegna ha molti volti ed ognuno con un fascino che arriva in quel periodo particolare dell’anno dove si mischia il “sacro con il profano, passione identità, silenzi e ritmi cadenzati”, ma sa essere anche colorato e sprigionare dissacrante euforia.
Non abbiamo informazioni certe sulla nascita del Carnevale in Sardegna, ci sono vari studi, ricerche ipotesi fra queste alcune che fanno risalire ai culti Dionisiaci, che con sacrifici umani, invocavano fertilità ed abbondanza della terra e per i suoi abitanti.
Ogni luogo ha il suo carnevale, dal carnevale colorato di Tempio Pausania con i carri allegorici, a quelli legati alle gare a cavallo, o il Carnevale più anarchico, più libero senza regole che accompagna come quello del mercoledì delle ceneri di Ovodda. Se vogliamo trovare un comun denominatore, questo a gennaio, per Sant’Antonio Abate: il rito del fuoco di Sant’Antonio. Questo “accende anche la tradizione legata delle maschere dell’entroterra”. Continua Giuliano aprendo una finestra sui carnevali dell’entroterra: “il carnevale del centro Sardegna non ha colori”, ma toni chiusi, maschere scure, sono carnevali tragici e sofferenti piuttosto che divertiti e trasgressivi. Carnevali molto antichi, con le loro maschere antropomorfe e zoomorfe, le vesti di pelle di pecora, il suono dei campanacci. Questi carnevali ricordano antichi riti, e soprattutto l’esistenza di un rapporto stretto tra l’uomo e l’animale. Potremo parlare a lungo dei carnevali in Sardegna, senza riuscire ad esaurire l’argomento. Giuliano ci fa notare come il presidente dei carnevali di Italia, ha definito il carnevale più antico del mondo, con quello di Nantes, il mercoledì delle ceneri di Ovodda. Per affermare questo, ricorre ad un passaggio come la pittura facciale sia antecedente all’uso della maschera. La maschera arriva dopo quella che è la “pittura facciale”. La caratteristica dei carnevali dell’entroterra della Sardegna è quella di tingersi di nero, ed indossare gli abiti come una seconda pelle. I materiali per tingersi provengono dalla terra, materiali semplici : fuoco, sughero olio. Si ottiene una sostanza lucida ed aderente. Questa la si cosparge sul proprio viso e anche su quello degli altri. Ad Ovodda chiunque arriva non è spettatore, ma protagonista, parte della rappresentazione. Tutti fanno parte di un insieme.. Concludendo Giuliano ci conferma che i carnevali non sono folclore, ma un modo di essere, di appartenere. È condivisione. Impensabile un carnevale in solitudine. Ci sono le danze, i movimenti i ritmi disordinati, accompagnati dai suoni, dalle voci i silenzi. I campanacci e i sonagli, che molti studiosi affermano avere una funzione taumaturgica di allontanamento degli spiriti del male dal “rito”. Per capire i carnevali barbaricini bisogna rifarsi alle credenze ai miti e ai riti legati alla cultura pastorale della Sardegna centrale, all’antica alleanza tra l’uomo e la natura, l’antica lotta tra il bene e il male, lungo una via che conduce al mistero. Giuliano, per terminare, chiude con una frase di Bachisio Bandinu, che ha dedicato molte opere ai carnevali: “la maschera è l’elemento rilevatore del nostro carattere, il rito è un sogno del tempo. Mascherarsi è un destino”. Dopo questa prolusione dalla parola siamo passati alle immagini. Il gruppo fotografico “I disertori della vanga”, ha fornito all’evento documentari e fotografia, che contemplano tutto quello che Giuliano aveva esposto, per cui si inizia con il documentario “Carrasegare”, dove con musiche anch’esse identitarie e foto, fissano momenti intensi di ben sette carnevali, tra cui Fonni, Lula, Orotelli, Mamoiada, Ottana Sorgono e Ula Tirso.
Il Backstage posto alla fine del filmato, ci ha fatto comprendere il clima di coinvolgimento e di condivisione che ha “travolto” i nostri artisti dell’obbiettivo. I componenti del gruppo fotografico Carlo Andreani, Fabrizio Bardazzi, Fabrizio Cimini, Paolo Lolletti e Claudio Moderna.
Ha preso quindi la parola il decano del gruppo “I disertori della vanga”, Carlo Andreani che oltre a ringraziare dell’invito e coloro che sono presenti racconta che il loro, è un gruppo amatoriale, nessuno è sardo, se si esclude uno di loro che è marito di una donna sarda. Il Gruppo è nato dall’amicizia dei suoi componenti e dalla voglia di scoprire cose nuove, vivere la scena, non da professionisti ma per hobby. Appassionati di riti e processioni in Italia, girando l’Italia, sempre a spese proprie. Poi la Sardegna; hanno iniziato da Mamoiada, e hanno praticamente fatto quasi tutti i carnevali barbaricini. Hanno immortalato momenti che possiamo vedere dalle slide presentate, ma che si possono ritrovare anche sulla nostra piattaforma Facebook “Distanti ma uniti. Casa Sardegna on line.” Le foto e i documentari che hanno presentato, valgono più di ogni parola, perché molte di queste sono state fatte in primo piano, dal momento che quando hanno iniziato a fotografare non erano più di una dozzina di fotografi, contro i cento centoventi attuali. Non si sono mai accontentati di fare la foto, ma hanno voluto vivere l’esperienza insieme alle persone, nel quotidiano, assistere ai riti della vestizione e quanto ad essa connessa. Insomma condividere ed essere non spettatori. Sono un gruppo di fotografi, che prendono spunto ognuno con il suo modo di vedere il rito, con effetto quindi moltiplicatore e plurisfaccettato dello stesso soggetto.
La parola poi è passata ad un nuovo filmato, “In su coro d’Annarzu “, prodotto dal gruppo maschere “Is Arestes e S’Urtzu Pretistu” di Sorgono: Un bellissimo filmato in bianco e nero, che ripercorre la genesi di questo rito. Il filmato fissa la data del 1767, quando papa Clemente XIII stanco delle continue lamentele del clero sardo riguardo alla permanenza di riti pagani frammisti a riti cristiani, invia il gesuita Giovanni Vassalli, nel tentativo di ricatechizzare gli abitanti dei territori della parte centrale della Sardegna. In questo viaggio lo accompagnava un giovane prete sardo Bonaventura Licheri, che era anche poeta ed aveva raccontato cosa succedeva in occasione dei falò di metà gennaio. È grazie alle sue poesie che dopo duecento anni si è potuto ricostruire la maschera di Sorgono. Il filmato è una rappresentazione, del gruppo teatrale afferente all’Associazione Culturale “Mandrolisai” di Sorgono. Un filmato di forte impatto emozionale, piena di mistero e di sapori ancestrali. Antonello Cau, del gruppo”Is Arestes e S’Urtzu Pretistu”, sottolinea e conferma che non si deve parlare di un carnavale, ma dei carnevali, tanti i segni e tanti i significati, che spesso si accavallano, ma possono essere accumunati e uniti anche se di epoche storiche diverse, anche se modificati da dominazioni straniere. La Sardegna è riuscita a mantenere alcuni significati fondamentali e a farli giungere sino ad oggi, facendoli diventare identità. Chi indossa quella maschera (S’Urzu) sa di entrare in un personaggio. Salvatore Cambosu quando parla dei carnevale dell’interno, del carnevale della Barbagia, dice che non è un carnevale di allegria il “carrasegare”, è un carresecare diverso. Usa il termine Carnevale e Carrasegare. Carnevale derivante dal latino carnem levare,(tipicamente continentale, europeo, carnascialesco) carrasecare dal latino carnem secare (tagliare la carne) espressione linguistica fondamentalmente sarda: “sagarre” in sardo è la carne viva, la carne umana e si riferisce al sacrificio che viene rappresentato nel filmato. Fondamentale che il sangue tocchi la terra per fecondarla. Riti antichi che si propiziavano per il prossimo anno agrario, il prossimo ciclo produttivo e riproduttivo. I padri della chiesa hanno sempre cercato di gestire o quanto meno governare certe ritualità. In questo venivano visti dei riti diabolici e quindi da contrastare. Basti pensare a Sant’Agostino o Tertulliano, passando dai Sinodi sardi del 1400 e 1500. In clima di controriforma 1600 1700 i gesuiti vengono inviati in Sardegna fra i cui compiti c’è quello di evidenziare i luoghi dove si compiono quei riti, dove sono ancora presenti quelli cruenti legati ai riti ancestrali,pagani, e come si vede nel filmatoquando culmina con l’uccisione di “S’Urztu”. In questo contesto si muove l’associazione “Is Arestes e S’Urtzu Pretistu”.
La parola passa ad Ottana, e precisamente a Massimo Soro dell’Associazione “Sos Merdules bezzos de Otzana”. Anche la maschere di Ottana, seppur in un contesto diverso, si ricollega a quanto detto dagli altri ospiti sui riti e cerimonie con origini pagane che ci riportano indietro nel tempo; le figure : l’uomo, vestito di pelli bianche e nere con maschere di legno sulla faccia “Sos Merdules” che guida con le redini la bestia, che indossa pelli di pecora con campanacci rumorosi ,“Sos Boes”, poi “Sos Porcos,Son Molentes, Su Cherbu e Su Crappolu” che incarnano gli animali (maiali, asini, cervi, caprioli). L’uomo e il bue. In un contesto di intimità, che li lega alla fertilità della terra e alla prosperità: nel complesso vengono fuori delle sceneggiature che imitano ruoli e situazioni della vita dei campi: aratura, semina raccolto, la cura dell’animale la domatura, la malattia la morte degli stessi, nel contesto agropastorale. Tra i giorni più importanti, oltre al giorno di Sant’Antonio Abate, c’è il martedì grasso, dove la maschera “Sa Filonzana”, uomo travestito da vecchia che tutti temono, che storicamente esce da sola, lei che fila la vita predicendo il futuro, buono o meno a secondo della qualità del vino offerto, lei che è intenta nel cullare, controllare, propiziare, difendere l’identità. Una costante, come del resto in tutti i carnevali della Barbagia, la si ritrova nel vino, elemento importante della vita ma anche del sacrificio.
L’iniziativa termina con la raccolta da parte degli organizzatori del plauso delle numerose persone intervenute e dei messaggi giunti alle varie piattaforme attivate. In tutti c’è una speranza. Quella di rivederci, di tornare ad incontrarci e rivivere di persona questi momenti che fanno davvero emozionare e in alcuni casi anche commuovere.
di Elio Turis
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