“Il Giorno del ricordo (istituito con larghissima maggioranza dal Parlamento nel 2004) contribuisce a farci rivivere una pagina tragica della nostra storia recente, per molti anni ignorata, rimossa o addirittura negata: le terribili sofferenze che gli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia furono costretti a subire sotto l’occupazione dei comunisti jugoslavi.”
Quanto sopra è parte della nota divulgata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Nel 2004 però, è doveroso ricordare come alcuni gruppi politici votarono contro l’istituzione di una data simbolo per le vittime delle Foibe poiché, in un delirio ideologico color rosso sangue, quelle morti furono giuste e circoscritte alla sola voglia di vendetta nei confronti di una popolazione colpevole di aver sposato (come gran parte d’Italia al tempo) gli ideali di matrice fascista.
Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani, seppur spariti dall’attuale panorama politico (ma riconfluiti in varie sigle della sinistra radicale), erano contrari. Ed è curioso come ci si possa schierare dalla parte dei più deboli pur negando, di fatto, la verità su quella che fu una vera e propria pulizia etnica ai danni di alcuni nostri connazionali. Altrettanto singolare è come, dopo pubbliche dichiarazioni di negazione, si possa diventare presidenti di Regione, sindaci comunali o rappresentanti significativi di nuove proposte politiche.
Questa data è vista ancora come una vicenda strumentalizzata dall’area politica collocata storicamente a destra: per questo motivo vengono vandalizzate le lapidi o le targhe a memoria dagli antagonisti. E sempre per lo stesso motivo, quei morti sono da considerarsi di Serie B.
Foibe, dicevamo. Cavità profonde nelle quali venivano gettate vive le persone. Indistintamente dall’età e dal sesso, bastava un solo sospetto a far decretare al maresciallo Tito ed ai suoi aguzzini una condanna a morte.
Sebbene da una parte (Italia) e dall’altra (Croazia, Slovenia) rimbalzino varie teorie a giustificazione dell’accaduto, va sottolineato con fermezza come le rappresaglie più feroci avvennero a seguito della mancata “presa” di Trieste, città portuale ricca di fabbriche.
Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele.
I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili.
IL GIORNO DEL RICORDO
Come è stato possibile che una simile tragedia sia stata confinata nel regno dell’oblio per quasi sessant’anni? Tanti, infatti, ne erano passati tra quel quadriennio 1943-47 che vide realizzarsi l’orrore delle foibe, e l’auspicato 2004, quando il Parlamento approvò la «legge Menia» (dal nome del deputato triestino Roberto Menia, che l’aveva proposta) sulla istituzione del «Giorno del Ricordo».
La risposta va ricercata in una sorta di tacita complicità, durata decenni, tra le forze politiche centriste e cattoliche da una parte, e quelle di estrema sinistra dall’altra. Fu soltanto dopo il 1989 (con il crollo del muro di Berlino e l’autoestinzione del comunismo sovietico) che nell’impenetrabile diga del silenzio incominciò ad aprirsi qualche crepa.
Il 3 novembre 1991, l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga si recò in pellegrinaggio alla foiba di Basovizza e, in ginocchio, chiese perdono per un silenzio durato cinquant’anni. Poi arrivò la TV pubblica con la fiction Il cuore nel pozzo interpretata fra gli altri da Beppe Fiorello. Un altro presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, si era recato, in reverente omaggio ai Caduti, davanti al sacrario di Basovizza l’11 febbraio 1993.
Così, a poco a poco, la coltre di silenzio che, per troppo tempo, era calata sulla tragedia delle terre orientali italiane, divenne sempre più sottile e finalmente tutti abbiamo potuto conoscere quante sofferenze dovettero subire gli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.
Perché si alzi in cielo un solo grido: MAI PIÙ!
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