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Covid-19: “Da dieci giorni sono chiusa in casa con mia figlia in attesa del tampone, ma nessuno ci risponde”

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Ogni giorno che passa, con l’incremento del numero dei casi positivi al Covid-19, il sistema di tracciamento dei contagi è sempre più in crisi.

Una situazione che sta mettendo in grave difficoltà anche coloro che, casualmente o meno, entrano in contatto con persone risultate positive e, secondo quanto previsto dalle disposizioni sanitarie, si autocollocano in isolamento fiduciario.

Un po’ come la situazione che stanno vivendo una madre e una figlia, di 37 e 5 anni, della città di Carbonia. Lo scorso 18 ottobre entrambe sono entrate in contatto con una persona positiva al virus e dal giorno successivo si sono autoisolate senza che nessuno, peraltro, avesse chiesto loro di farlo:

dal 19 ottobre -ci racconta la madre 37enne- appreso della positività di una persona con la quale io e mia figlia siamo entrate in stretto contatto, abbiamo iniziato un periodo di isolamento fiduciario. Nel frattempo abbiamo informato della nostra situazione il nostro medico di famiglia e, in contemporanea, l’azienda sanitaria senza però ottenere risposte in merito all’opportunità di essere sottoposte a tampone per verificare il nostro stato di salute. Il tempo è passato e nonostante le varie chiamate e mail inoltrate, non abbiamo ancora ottenuto rassicurazioni. Intanto sono passati più di dieci giorni ”.

Nel frattempo la donna non ha potuto avvalersi nel proprio contesto lavorativo di un periodo di assenza giustificata per malattia in quanto il medico di famiglia, ovviamente, rimbalza questa responsabilità all’ATS:

da ormai dieci giorni siamo rinchiuse in casa senza aver potuto fare anche solo un tampone per verificare o meno la nostra positività al virus. E non avendola potuta verificare non posso nemmeno mettermi in malattia al lavoro e perciò sarò obbligata a utilizzare le mie ferie per giustificare questi giorni di assenza. Ma non solo, nei prossimi giorni, una volta terminato il periodo di isolamento fiduciario, per rientrare nel mio ambito lavorativo sarò comunque obbligata a effettuare un tampone a mie spese”.

Oltre il danno la beffa. Non solo obbligate a stare a casa senza sapere nulla sul proprio stato di salute, ma anche costrette a sobbarcarsi i disagi economici provocati da questa situazione.

Inoltre, quando termineranno i 14 giorni di isolamento fiduciario, madre e figlia saranno libere di uscire di casa senza che dall’ATS si siano accertati o (vista l’enorme mole di lavoro a cui sono sottoposte le strutture sanitarie preposte a questo compito) si siano potuti accertare della loro negatività, e nel caso fossero state positive nemmeno della loro negativizzazione, nonché degli eventuali contatti avuti con altre persone.

Perciò alcune domande non possono restare inevase: e se fossero state, e se lo fossero ancora, positive al Covid-19? E se questa madre non fosse stata così meritevolmente responsabile da autocollocarsi in isolamento fiduciario?

Nelle risposte a queste domande, implicitamente, si nasconde il vero fallimento della strategia messa in atto nei mesi scorsi a livello nazionale per quanto riguarda il tracciamento e l’interruzione delle nuove catene di contagi. Perché situazioni di questo tipo si verificano in gran numero in tutto il Paese.

Nondimeno, se invece di spendere centinaia di milioni di euro in mancette e bonus fallimentari, si fosse concretamente potenziato il fondamentale sistema di tracciamento dei contagi, così come è accaduto in diverse realtà del sud est asiatico, forse la seconda ondata epidemica farebbe molta meno paura.

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