Cinque anni. Nono posto nel 2005-06, poi sesto, quarto per due anni di fila, infine undicesimo. Il miglior piazzamento sul campo è stato quello del primo anno, 44 punti in classifica ma con 30 di penalizzazione, la prima Fiorentina di Cesare Prandelli avrebbe lottato per lo scudetto che quell’anno andò all’Inter con 76 punti, due in più di quelli conquistati dai viola.
É proprio a questo sogno che si aggrappa Firenze. Ad un tecnico capace di portare in alto, fino in Champions, una squadra che si stava ricostruendo dopo il fallimento, gli anni della C2 e della difficile risalita in A. Prandelli portò fiducia, idee, entusiasmo, gioco, portò grandi risultati come la vittoria contro il Liverpool ad Anfield Road o come la sconfitta all’Allianz Arena di Monaco di Baviera quando il famigerato arbitro norvegese Øvrebo decise di non vedere il fuorigioco chilometrico di Klose, altrimenti la Fiorentina avrebbe potuto eliminare il Bayern dalla Champions.
Ricordi, dolci ricordi che diventano nostalgia pura quando tornano in mente anche i giocatori di quell’epoca, Luca Toni che in viola vinse la Scarpa d’Oro, Gilardino, Jovetic, Mutu. Se pensiamo agli attaccanti che Prandelli troverà al suo primo allenamento da nuovo tecnico della Fiorentina c’è da aver paura.
Commisso l’ha scelto per sostituire Iachini, licenziato come Montella. Due esoneri in dodici mesi, tre allenatori da pagare fino a giugno. La Fiorentina non stava giocando bene, tutt’altro. Ma il calcio è buffo davvero: vedendo l’ultima partita fra Parma e Fiorentina e dovendo per forza scegliere un allenatore da licenziare per il gioco, quell’allenatore non sarebbe stato Iachini. Che ha pagato per il cortocircuito fra proprietà (a favore del tecnico ascolano fino a poche ore fa) e dirigenti (a favore del suo licenziamento già alla fine del campionato scorso). A Iachini hanno consegnato un organico che c’entra poco o niente col suo pensiero calcistico. Voleva un regista e non l’ha avuto, aveva bisogno di un centravanti vero e ne sono rimasti tre da costruire, hanno ceduto Chiesa e preso Callejon che non c’entra niente nel 3-5-2. Queste sono state le scelte della società.
Ora tocca a Prandelli, che torna alla Fiorentina perché non ci sono più i Della Valle, con cui aveva rotto in modo traumatico. Lo avevano accusato di un accordo già fatto con la Juventus. Lui invece scelse la Nazionale. Cesare imposterà la squadra in modo completamente diverso. Fine della difesa a tre, ritorno alla linea a quattro, con Milenkovic e Pezzella al centro, Lirola e Biraghi esterni, due mediani (Amrabat e Pulgar o Duncan), Castrovilli sulla trequarti in mezzo a Callejon e Ribery. Poi Vlahovic, o Cutrone, in attacco. Prandelli porterà in dote lo stesso equilibrio di dieci anni fa. Non è andato tutto per il verso giusto in questo decennio. La Fiorentina, dopo i suoi anni, ha lentamente abbassato il livello fino a chiamarsi fuori dalle coppe e lui, Cesare, che era partito alla grande con il secondo posto come ct dell’Italia a Euro 2012, si è dimesso al Mondiale in Brasile assumendosi ogni responsabilità tecnica (l’uomo è di livello, come la sua dignità), per poi fallire in Turchia, in Spagna e in Arabia. Si è ripreso salvando il Genoa alla fine del campionato 2018-19.
A Firenze lo aspettano tutti a braccia aperte. Ci metterà una forza incredibile. Perché Firenze è casa sua.
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