Pedro Sanchez ha vinto la sua scommessa. Il leader socialista e Capo del Governo spagnolo vince le elezioni amministrative in Catalogna svoltesi ieri e attese non solo a livello interno ma anche internazionale.
La storia politica e istituzionale di questo territorio, con lo svolgimento di un referendum, poi annullato dalla Corte costituzionale, le proclamazione dell’indipendenza, gli arresti e le fughe all’ estero dei principali esponenti dell’indipendentismo avevano reso questa consultazione estremamente importante sia per la tenuta del Governo nazionale sia per il ruolo svolto dalla Spagna all’interno dell’Unione Europea. Sanchez ha ottenuto un buon successo, facendo del partito socialista la forza politica più votata e candidando come Governatore un suo Ministro – Salvador Illa -. La candidatura di Illa, contestata per il ritardo con cui aveva lasciato il Ministero, era considerata per certi versi un azzardo: come Ministro della salute aveva a suo carico una gestione della pandemia da coronavirus non proprio fortunata in un periodo che aveva visto la Spagna particolarmente colpita dall’infezione.
I catalani hanno premiato il candidato socialista voluto da Sanchez con il (quasi) raddoppio dei seggi per il suo partito. La percentuale dei votanti, superiore di poco al 50%, è stata molto bassa causa pandemia.
Tuttavia il successo elettorale non basta: i partiti indipendentisti riuscirebbero, sommando i loro seggi, a ottenere la maggioranza assoluta nel Parlamento di Barcellona. Esquerra repubblicana (il cui leader Oriol Junqueras è in prigione) è stato il più votato, seguito da Junts (dell’ex Governatore Carles Puigdemont fuggito all’estero). Risultati più deludenti per gli altri, in particolare per i popolari, scesi ai livelli più bassi della loro storia. Vox, pur non sfondando come nelle previsioni, ottiene il significativo risultato di entrare per la per la prima volta nel Parlamento di Barcellona.
I prossimi giorni ci diranno quale Governo sarà formato in Catalogna. Avere ERC alla guida della coalizione significherebbe avere un’agenda politica più moderata rispetto ai secessionisti duri e puri di Junts. Si potrebbe persino arrivare ad un referendum concordato con il Governo centrale di Madrid. Il dato di fatto inequivocabile è che, pur avendo preso più voti come singolo partito, i socialisti non avranno peso politico in Catalogna.
“Nei prossimi giorni, oggi o comunque entro la settimana, dovremo essere in grado di andare avanti nei colloqui – sostiene Aragonès (ERC) -. Il 12 marzo è il termine per una prima votazione in Parlamento, ma spero che ci sia l’accordo molto prima“.
Aragonès invita tutti i partiti indipendentisti a sedersi intorno ad un tavolo per negoziare il prima possibile la formazione di un governo “ampio” a favore dell’autodeterminazione e dell’amnistia per i condannati. Esquerra e Junts per Catalunya hanno 65 seggi in Parlamento, appena tre sotto la soglia della maggioranza assoluta. Con il CUP si arriva a 74 seggi. “Il risultato delle urne consente un governo indipendentista“, ha sottolineato la leader di Junts, Laura Borràs, che ha confermato di aver chiamato Aragonès e Dolors Sabater (CUP) per mettersi al lavoro subito.
La somma delle forze indipendentiste arriva a 74 seggi. Le formazioni più tradizionali (diametralmente distanti tra loro) si fermano a 61.
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