Se dovessi pensare alla persona che meglio ha saputo raccontare l’italianità, in tutte le sue sfaccettature, quello sarebbe di sicuro Alberto Sordi. Nessuno come lui, in tanti anni di florida carriera, ha interpretato l’essere umano come il comico romano: dal ricco al poveraccio, dal padre devoto a quello donnaiolo, dal professionista integerrimo a quello furbo e arrivista. Passare dal comico al drammatico è una peculiarità solo dei grandi attori, quelli che vivono “la parte” in maniera viscerale avendo vissuto un’esistenza piena tra le persone. La sua intelligenza artistica era uno dei bagagli che l’ha sempre contraddistinto, portandola in auge grazie al grande pathos interpretativo; al contempo ha saputo trasmettere ai tanti colleghi con i quali ha condiviso il set la sua arte; Nino Manfredi è uno di quelli che certamente ha giovato dall’incontro, senza scordare Carlo Verdone, visto spesso come suo erede cinematografico, soprattutto dopo In Viaggio con Papà del 1982 diretto proprio dallo stesso Sordi. Ma l’aneddoto che più colpisce risale ad un episodio quando, all’età di sedici anni, andò a Milano per iscriversi all’Accademia dei Filodrammatici. Ecco uno stralcio del dialogo riportato dallo stesso attore:
«Non perda tempo» gli disse Emilia Varini, l’insegnante di dizione, «perché lei non riuscirà mai a diventare un attore. Gesticola e pronuncia scorrettamente le parole. Non fa nessuno sforzo per parlare l’italiano. Insomma, lei è romano e la sua romanità viene fuori continuamente!».
«Mi dispiace» disse Sordi, «ma credo di essere spontaneo in questo modo. Sono nato a Roma e ho vissuto a Roma, e logicamente sono romano. Dico guera, fero, tera. Se mi chiede di dire guerra o ferro o terra, io… sento come una stretta qui allo stomaco… Io voglio parlare alla gente e la gente per la strada si comporta come me e parla come me…».
«La gente!» urlò Emilia Varini su tutte le furie. «Un attore secondo lei è la gente? Un attore è un attore e basta, è uno che se lo senti parlare, capisci subito che mestiere fa. Un attore ha un suo linguaggio che non è il linguaggio del popolo!». «Ma se io dico guerra…». «Perfetto, è così che deve esprimersi…». «No, non è perfetto… perché mi sento la strozza in gola! Non ce la faccio. Io devo essere come quelli che incontro ogni giorno per strada!».
Questo era Alberto Sordi.
Era Nando detto Santi Bailor, romanaccio un po’ matto che masticava inglese e “magnava maccheroni” di Un Americano a Roma, diretto dal grande Steno nel 1954; era Il Marchese del Grillo sotto la regia del grande genio di Monicelli, nobile imparentato col Papa che passava le giornate a ridere e fare scherzi: «..che te credi che sia facile nasce da una famiglia come la mia, a Roma.. cor Papa, i Cardinali il Sant’Uffizio..». Senza tralasciare il Dottor Guido Tersilli, medico della mutua quando in Italia si affacciava l’era della sanità pubblica. Con Sordi ogni personaggio era un “un tipo”, ogni interpretazione uno spaccato di società vera trasformata in finzione per esigenze cinematografiche. Oggi, 15 Giugno 2020, il nostro Albertone nazionale avrebbe compiuto 100 anni e, di sicuro, non avrebbe dimenticato di raccontare la vita, con una battuta, un storia o un “soriso amaro” stretto tra i denti di chi non si era mai voluto sposare perchè non voleva gente estranea in casa.
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