Oleksandr Usyk glorifica la “nobile arte” grazie ad una prestazione di livello supremo. Sul ring di Londra, davanti a 62mila persone, sconfigge l’ormai ex campione del mondo dei pesi massimi Anthony Joshua.
Verdetto unanime (117-112, 116-112, 115-113), senza attenuanti. Il pugile ucraino è stato superiore. Era una sorta di match della vita, perché metteva in palio le cinture Wba, Ibf e Wbo: veloce, mobile sul tronco, nessun punto di riferimento dato in pasto alla strapotenza fisica di Joshua.
Ha punto e si è difeso, Usyk, con una danza perpetua per tutte le dodici riprese del combattimento. E di fatto riscrive storia, equilibri e scenari della categoria di peso regina. Joshua esce ridimensionato dalla batosta tecnico-tattica subita, perché l’incontro del secolo con Tyson Fury (se si farà) non avrà più il fascino dell’unificazione delle cinture. Il nuovo campione dei massimi sarà un avversario durissimo da affrontare per chiunque.
Al gong l’immagine è un tutto dire: Joshua nel suo angolo, stordito, con difficoltà respiratorie. Ha perso da favorito, questa volta contro un pugile forte e non con il semi-sconosciuto messicano sottovalutato perché grassoccio. Usyk, di contro, è lucido: si inginocchia, prega Dio. Poi si alza, ride, attende il verdetto. È il sorriso della consapevolezza, di chi sa di aver meritato titolo e cinture. Con classe, esperienza, coraggio.
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