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BEPPE COSTA: CURA SENZA FERRI

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Marco era ormai lontano dalla sua Sicilia, dove sarebbe stato impossibile vivere senza l’ombra addosso della mafia su qualsiasi lavoro volesse fare. Ma lui non voleva fare un qualsiasi lavoro né un lavoro per vivere: doveva seguire assolutamente la sua passione: scrivere o suonare e scoprire chi avesse la sua stessa passione e aggregandosi poteva avere una voce leggermente più alta! Non era neanche più a Firenze, né Ravenna e neppure in Abruzzo. Ma neppure a Roma, dove a lungo aveva tentato di continuare nel proprio lavoro senza morire di fame. Di fame certo no, ma di cuore certo che sì.

In questo modo, avendo lasciato molte opportunità e offerte (con corruzioni allegate) si era spesso trovato colpito da delusioni con botte al cuore! Aveva avuto in questo modo la possibilità di visitare molti, troppi ospedali: Catania per primo, ma anche Trento e soprattutto Roma: aveva scoperto che le sue ‘botte’ erano determinate non tanto dal fumo o dallo stress, bensì dai dispiaceri.

Quindi appare naturale ciò che racconto dell’ultimo recente episodio accaduto al nostro protagonista. Dopo un infarto, un aneurisma addominale e due infarti di seguito (uno a poche ore dal primo all’interno della stessa terapia intensiva) aveva deciso di andare a vivere in Sardegna. I motivi erano diversi: l’umanità e la forza del popolo sardo, la concentrazione di attività artistiche, soprattutto quelle non ‘aiutate’ dalla politica ignorante e sporca, avevano deciso ch’era il posto giusto per godersi gli ultimi cammini della propria esistenza.

Visite accurate per leggeri malesseri, medici precisi e soprattutto puntuali, nelle varie branchie della medicina portarono il nostro eroe a convincersi ch’era tempo di farsi spaccare di nuovo. Così decise per il sì: ma come fare con gli impegni che erano la sua vita e nel tempo divenivano sempre più rari? Pazienza, il suo amico, che lo aveva preso in carico avrebbe provveduto.

 Ma…
Dopo le indagini all’Ospedale di Ozieri e la successiva visita cardiologica all’ospedale di Oristano fu spedito immediatamente a quello di Sassari. Anche qui, come tutta la Sardegna si meravigliò per la gentilezza, pulizia e precisione! questo determinò la sua scelta, pensò: “adesso sì, lo faccio, un taglio pesante, ma da fare e di urgenza”.

Ma come spiegavo all’inizio le cose del cuore fisico non sono come quelle del cuore emotivo: non sa come accadde che nel letto accanto conobbe e scambiò qualche parola con Giulio: giorni prima colpito da infarto che, con coronografia e stent, stava riprendendosi. Mi offriva di tutto anche se non ero in grado di prendere nulla. Con modi garbati ed eleganti, probabilmente dovute al modo di vivere proprio in questa città. Marco però era piuttosto avvilito di interrompere quel momento sereno di vita da sardo. Il secondo giorno Giulio ricevette delle visite: una ragazza, scoprirò essere la figlia, lo abbraccia come fosse un vecchio amico, gli prende le mani, gli parla. Con quei modi delicati e leggeri fu un impatto straordinario. Chi ricorda il film Amici miei di Monicelli può immaginare come Marco reagì: “Ho visto la madonna!” Ma la sorpresa non finiva qui: verso sera, Giulio che riceveva molte chiamate, dopo un breve saluto al cellulare, gli porge il telefono dicendo:

«Silvia ti vuole parlare», prese il cellulare e rimase muto mentre dall’altro lato la sua voce diceva qualcosa  che Marco non sa riportare. Ebbe l’impressione che fossero note di Chopin, di un preludio che da tempo mancava alla propria vita. Solo più tardi pensò alla figura da scemo, oltretutto aveva un aspetto cadaverico, un pigiama gualcito e delle pantofole bucate dalle unghia non tagliate: insomma un mostro. L’indomani si ripete la scena dell’arrivo di Silvia, stavolta con la madre il fratello e una bambina che capì fosse sua figlia. Si spostarono in sala d’attesa nel’orario delle visite, dove Marco finse di passeggiare, mascherando indifferenza e di non sapere che stavano lì seduti Giulio con la famiglia o, almeno, quella parte ch’era venuta. Tornò a letto ma, con grande sorpresa di Marco, Silvia tornò nella stanza a salutarlo con un abbraccio tenero e lo lascia stringendogli a lungo le mani. Il nostro eroe non voleva staccarsi, sebbene la stretta dalle due parti fosse più che delicata. Sorpreso ancora, specie per un siciliano: il giorno dopo Giulio lo avvisa che Silvia verrà a trovarlo.

La scena non la descrivo, ma lascio immaginare a voi, lettori sensibili e umani. Lui disse solo:«Domani esco! vieni allo spettacolo? ci terrei». Non aggiunge altro Marco, di colpo il suo cuore fisico era migliorato, ma credo che pure l’altro cuore si fosse ripreso. Rifletté solo sui padri del suo tempo siculo, se avessero fatto la medesima cosa. Anzi! dimessi entrambi, Giulio perché stava meglio, Marco perché lì non ci voleva rimanere, sentendosi guarito, firmò sotto la propria responsabilità e contro il parere dei medici: Usciva, certo, ma non potendo viaggiare, sperò almeno che il giorno successivo Silvia venisse a sentirlo, assistendo allo spettacolo. Nei giorni successivi però continuarono a scriversi e a telefonarsi: lui, lei e il papà. Così Marco rimandò il suo taglio per tempi peggiori ma la sera dopo Silvia non venne. Marco si dispiacque molto ma ne capiva i motivi. Una donna che lavora e con una bambina piccola ha dei tempi diversi che Marco nei messaggi comprese appieno e apprezzò.

Finito lo spettacolo con un Marco piuttosto triste per quell’assenza, vide Carla che aveva conosciuto qualche tempo prima e, in poco tempo, per uno strano gioco del destino, il giorno dopo iniziarono a lavorare insieme, tutti i giorni o quasi: stessa passione per la musica e per la poesia! Avrebbero realizzato certamente un altro spettacolo, poiché leggeva con la medesima passione e lo stesso sentire del poeta sensibile

P.S. Con questo racconto vorrei dimostrare che la miglior cura potrebbe essere, come fu per Marco, un incontro inaspettato. Se poi sono due, o più, ancora meglio. Marco visse altri 20 anni, ancora continuando a provare emozioni incontrando il pubblico. All’età di 96 anni si accasciò sul palco leggendo e indicando la luna a chi non l’ha vista mai. Chissà se per molte malattie e malati è così: lo auguro.

beppe costa

Comments (1)

  1. La miglior cura è l’Amore.
    Dai tanti solchi che il dolore ha scavato, germoglierá sempre qualcosa per chi ha seminato amore.
    Un cuore che ha amato tanto, tanto verrà amato.

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