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Ai margini del senso di non appartenenza: murales e Orgosolo, i muri che raccontano la Storia della Sardegna

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La provinciale sale e si restringe, incassata tra le prime asperità del Supramonte, Barbagia. Luoghi noti, circondati da una sinistra e oscura mitologia. Ma luoghi bellissimi, di foreste fitte e inaccessibili, di gole umide e picchi rocciosi, di silenzi grandi. Le indicazioni sono rare, non passa anima viva. Senza cartina sei spaesato, se resti senza benzina sei perduto.

Arrivare ad Orgosolo è una piccola avventura. Dopo una ventina di chilometri tutta curve da Nuoro, alcuni massi dipinti lungo la strada dicono che ci sei: la capitale del brigantaggio e dei murales. Due realtà all’apparenza inconciliabili e in fondo facce opposte di una stessa medaglia. Nate in margine allo stesso senso di non appartenenza, allo stesso sentimento di esclusione. Il primo murale è del 1969, realizzato sull’onda polemica e creativa della contestazione giovanile. Bersaglio, lo Stato, che continua ad essere perseguitato nei murales che hanno fatto in questi anni di Orgosolo la roccaforte del moralismo politico in Sardegna. Facciate dipinte hanno trasformato un paese anonimo e moderno in un paese-museo. Le case e le osterie, la biblioteca e l’ambulatorio, la curva della circonvallazione e lo stesso municipio, crivellato di colpi d’arma da fuoco, sono diventati strumenti di una propaganda rivoluzionaria che oggi, a trent’anni di distanza, è da considerare testimonianza storica e arte popolare. Arte concepita all’origine per dare spazio ai “disamparados”, come i sardi chiamano i loro “descamisados”. Un giorno qualcuno ha prestato loro la voce. Ne ha capito il pensiero e lo ha trasformato in immagini, perché fosse chiaro a tutti che la Sardegna era in pericolo. Stretta ai fianchi da disoccupazione, emigrazione, incendi dolosi, industrializzazione forzata, morti bianche, abbandono delle campagne, e la “guerra” alle basi americane della NATO. Con un linguaggio quotidiano ed ingenuo, i murales esprimono i grandi problemi della politica, dell’economia e del militarismo. Colpire l’occhio per arrivare alla mente. Anche le frasi che echeggiano tra le figure dipinte sembrano invitare alla riflessione e non alla violenza. C’è un monito del sardo Antonio Gramsci: “Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”. O quelle del grande capo indiano: “L’uomo bianco ha portato un pezzo di carta e ha detto di firmare. Quando abbiamo imparato l’inglese, ci siamo accorti che con quel documento avevamo perduto la terra”. I sardi come i pellerossa: è la sindrome della colonia, che traduce la paura di non poter più disporre dei propri territori, dei propri beni, della propria vita. Nel luglio 1969, la paura si è tradotta in azione, tre giorni e tre notti in cui uomini, donne e bambini sfidarono le forze dell’ordine, occupando la zona di Pratobello, destinata al poligono di tiro. E il poligono non fu fatto. Il ricordo epico di quei giorni tappezza ogni lato di Piazza del Popolo e riveste la parte bassa del municipio, che riporta anche il testo del telegramma spedito agli orgolesi dal partigiano e scrittore sardo Emilio Lussu. Per questa sua necessità sociale, i murales di Orgosolo ha nell’immagine l’accompagnamento di una didascalia, molto spesso in sardo, che riporta slogan, citazioni, versi poetici, dati di accusa. Sostituiscono le parole urlate nei comizi e nelle manifestazioni. Parole che sui muri acquisiscono un nuovo coraggio, un’altra gravità, una rinnovata importanza. L’ironia è un’altra caratteristica dei murales di Orgosolo.

Il 90% dei murales del paese sono firmati da Francesco Del Casino, insegnante di educazione artistica originario di Siena che, nel periodo ventennale trascorso ad Orgosolo, ha dato avvio alla tradizione delle facciate dipinte. La storia locale comincia ad essere legata a quella nazionale e Del Casino ha vestito il suo impegno politico con uno stile pittorico inconfondibile, fatto di figure solide, monumentali, dai volumi squadrati, i profili taglienti, i colori brillanti arginati dai contorni scuri e spessi, di una chiara derivazione cubista. Picassiana. Negli anni Ottanta, quando la tensione politica si è allentata, la produzione dei murales politici ha subìto una battuta d’arresto. È subentrata la tendenza del murale decorativo, che riproduce scene di vita quotidiana. Conservazione o rinnovamento? Passato e presente sono i termini del dubbio che investe il destino dei murales di Orgosolo. Se i vecchi sono indifferenti al problema, i giovani sostengono la necessità dell’aggiornamento sui fatti di cronaca. La vita è mobile. Per continuare a essere una voce viva, Orgosolo, non deve smettere di farsi colorata interprete della storia.

di Massimiliano Perlato

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