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CONTE SI GONGOLA PER IL RECOVERY FUND: LUCI ED OMBRE SU UN FINTO TRIONFO

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“Risultato storico, reso possibile grazie al lavoro intenso ed alla collaborazione con gli altri Ministri”.

“Intervento straordinario, un successo senza precedenti”.

A queste roboanti dichiarazioni televisive fa seguito un alone di mistero, dietro il quale si configura una possibile grande fregatura per i cittadini. Conte ‘il belloccio’, colui che raccoglie consensi sull’aspetto estetico e quindi ‘tutto ciò che dice va bene’, potrebbe aver preso un grosso abbaglio al recente Consiglio Europeo. Perché se da un lato è vero che alcune posizioni intransigenti si sono attenuate, è altrettanto vero che nessuno Stato si farà carico dei debiti altrui. E per essere franchi e precisi, l’Italia non ha introdotto proprio un bel niente: lo strumento è stato fortemente voluto da Macron, arrivato ad un braccio di ferro con la Merkel. Conte e Gentiloni hanno semplicemente sposato la causa mutualistica dei cugini d’Oltralpe.  Sbandierare un risultato non proprio: questa è la sintesi di ciò che han fatto al governo.
Di questa vittoria mutilata c’è da chiedersi che cosa significhi e soprattutto in cosa consista, perché la situazione non è affatto definita. Per di più, fa riflettere che si sia volutamente omessa la citazione di altri strumenti approvati come MES (mascherato da Nuovo Mes), Sure e Bei. Un autentico gioco Orwelliano per raccontarci bugie su bugie.

Dalla Germania, tanto per fare un esempio, chiariscono bene: “ok al Recovery fund, ma non si tratta di un regalo agli Stati, che dovranno sottostare a precise regole in materia fiscale”. Musica e parole di Olaf Scholz, ministro delle Finanze, il quale spiega senza fronzoli come il Recovery fund potrà essere attuato soltanto a precise condizioni. E soprattutto, smentendo quello che ha detto Conte agli italiani, perché non sarà affatto una cosa rapida ed in tempi ristretti, come già accaduto per la falsa potenza di fuoco da 400 miliardi. Scholz ha specificato a chiare lettere: “quello che sta accadendo non potrà andare avanti senza un’ulteriore integrazione europea. Farci carico di ulteriori compiti, senza avere prima sviluppato entrate e forme di finanziamento comuni, senza affrontare il dumping fiscale nell’UE, senza fare in modo che ci siano dei compiti comuni da affrontare insieme, non potrà funzionare”.

Tradotto in soldoni, i Recovery fund potranno essere utilizzati a condizione che gli Stati Membri facciano i compiti a casa. Una cosa non certo nuova sulla posizione tedesca nei vertici Europei. Ne trattò ampiamente anche il Corriere della Sera a margine del Consiglio Europeo, quando vennero riportate le dichiarazioni della Cancelliera Angela Merkel, che ribadì: “siccome si parla di un movimento di soldi enorme, mai utilizzato prima e assolutamente senza precedenti per la UE, occorre che si rivedano i sistemi di tassazione di tutti gli Stati Europei, in modo tale da uniformare i Paesi” ed avere quello che la stessa Merkel chiamò “sentiero di convergenza”. E quale sarebbe il sentiero di convergenza se non il cosiddetto “dumping fiscale”?

Nonostante l’Italia sia notoriamente uno degli Stati della UE con la fiscalità più alta e rigida, non basta a far riconoscere il nostro Paese ‘virtuoso’. Tutti gli Stati della UE, nessuno escluso, hanno numeri e fiscalità che difettano di qualcosa rispetto alla Germania. In difetto è l’Olanda, che viene considerato un paradiso fiscale ma lo è anche l’Italia, dove non si riesce a contrastare l’evasione fiscale e dove non si fa nulla per tassare la ricchezza privata. Prima di chiedere solidarietà agli altri paesi UE, bisogna completare i famosi compiti a casa. Questo è il risultato straordinario che porta a casa il premier Conte.

“Strumento innovativo, eccezionale, rapido e immediato nella sua applicazione” sono le parole che ha detto agli Italiani: evidentemente c’è ancora molto da lavorare. Ciò che si va delineando è che dal Recovery fund non arriverà neppure un euro entro l’anno per sostenere il sistema produttivo dell’Italia. Anche se Gentiloni si strappa le vesti. Gennaio 2021 viene indicata come data ‘ambiziosa’: l’Italia rischia di finire spalle al muro, perché non saranno sufficienti i prestiti Bei ed il Sure per la cassa integrazione, cioè le altre misure che il Consiglio Europeo ha sul tavolo insieme al Mes ed ai Recovery Fund. Se non si vorrà attivare il Mes, occorrerà stare alle regole di Berlino, aumentando il prelievo fiscale soprattutto sulla ricchezza delle famiglie, una vera patrimoniale perché la ricchezza media delle famiglie italiane è superiore a quella dei tedeschi. Difficilmente i tedeschi accetteranno di aiutare con soldi anche loro le famiglie italiane, che sono più ricche di quelle tedesche. Chi diceva che l’UE era ‘in sintonia’ come non mai?

Procediamo con ordine nella districata giungla di informazioni sbagliate che sono passate ‘a reti unificate’.

In realtà la situazione è così poco storica che la stessa Christine Lagarde si è lamentata per la lentezza con cui si sta muovendo l’Unione Europea. I Capi di Stato e di Governo hanno dato mandato al Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, di presentare un piano per la prossima riunione del 6 maggio, poi il tutto dovrà essere attuato e chissà quanto tempo passerà.

LO STRUMENTO RECOVERY FUND: DI COSA SI TRATTA

Con il Recovery fund Parigi ha proposto un compromesso che non chiede la condivisione dei debiti passati, ipotesi fortemente osteggiata dai Paesi del Nord (Olanda, Svezia, Finlandia Austria e Germania), ma una condivisione del rischio comune futuro. Il finanziamento del fondo avverrebbe tramite la raccolta di liquidità data dall’emissione dei recovery bond, titoli di debito comune, che secondo i piani dell’Eliseo inaugurerebbero una nuova e più forte solidarietà comunitaria. Nel Consiglio Europeo del 23 aprile 2020 i capi di Stato e di Governo hanno approvato il pacchetto di misure contro gli effetti della pandemia Covid-19, uscito dall’ultimo Eurogruppo con l’ok dei ministri delle Finanze e dell’Economia dell’UE. Tra questi strumenti ci sono il Mes senza condizionalità, Sure, Bei.

Il Consiglio Europeo ha quindi dato l’ok ai recovery bond e al recovery fund .

I leader dell’Unione hanno altresì deciso di dare il via libera al pacchetto di misure Mes, Bei, Sure rimettendo alla Commissione il mandato di analizzare il fabbisogno del Recovery europeo per sostenere la ripresa dopo la crisi pandemica. A confermarlo è il presidente del Consiglio UE Charles Michel in conferenza stampa.

Recovery fund significa letteralmente fondo di recupero: prevede l’istituzione di un fondo ad hoc con lo scopo di emettere obbligazioni (i recovery bond o Ursula bond) con la garanzia del bilancio UE. In questo modo la condivisione del rischio sarebbe comune solo per il futuro, senza una vera mutualizzazione sui debiti del passato così da accontentare i paesi del Fronte Nordico, da sempre contrari ad una classica condivisione degli oneri legati ai debiti.

RECOVERY BOND ED EUROBOND: LA DIFFERENZA

La differenza sostanziale tra i due bond è che nel caso dei recovery bond la condivisione del rischio è comune solo per quanto concerne il debito futuro mentre con gli eurobond o coronabond ci sarebbe la mutualizzazione del debito sia futuro che pregresso.

IL MES

Il MES, meccanismo economico Salva-Stati è uno strumento istituito dall’UE e nato con la precedente crisi finanziaria al fine di concedere prestiti agli Stati Membri che non riuscivano, o lo facevano ad altissimi costi, a finanziarsi sui mercati.

Il MES in passato è stato attivato da 3 paesi:

  • Cipro  per 6,3 miliardi di euro;
  • Grecia per 61,9 miliardi di euro;
  • Spagna 41,3 miliardi euro,

Le diverse rigide condizioni impongono a chi riceve i prestiti di approvare un memorandum d’intesa (MoU) che definisce con rigorosa precisione quali misure si impegna a prendere (soprattutto in termini di tagli al deficit/debito e di riforme strutturali). Rispetto a questo MES, il trionfalistico nuovo Mes è frutto di un compromesso che prevede che i Paesi Membri possono richiedere prestiti al MES a copertura dei SOLI danni economici legati all’epidemia Coronavirus, a tassi molto più bassi di quelli di mercato e con scadenze assai lunghe, per un importo non superiore al 2% del Pil: l’Italia potrà richiedere circa 36-27 miliardi. Non cambierebbero le condizioni di rigido controllo, benchè il circuito mainstream benedica lo strumento: significherebbe comunque avere la Troika tra le mura domestiche.

SURE, LA CASSA INTEGRAZIONE EUROPEA

Il secondo strumento su cui i ministri dell’economia si sono trovati d’accordo all’Eurogruppo è il SURE (Support to mitigate unemployment risks in emergency), ovvero la cassa integrazione europea. Fortemente voluta dalla von der Leyen,  il Sure prevede di poter sbloccare risorse per 100 miliardi di euro: per accedervi, gli Stati membri devono fornire garanzie nazionali fino a 25 miliardi, che serviranno alla Commissione per emettere bond tripla A (molto sicuri e quindi con bassi tassi di interesse) da girare agli altri paesi membri tramite prestiti a lungo termine.

BEI, BANCA EUROPEA INVESTIMENTI

Il terzo strumento approvato è un piano da 200 miliardi di euro per le imprese sotto forma di prestiti concessi dalla Banca europea per gli investimenti (BEI). I prestiti tramite la Bei saranno attivati dal Fondo di garanzia dei paesi europei, che permetterà alla BEI di reperire sui mercati fino a 200 miliardi da trasformare in finanziamenti agevolati alle imprese tutelando maggiormente le piccole e medie imprese.

L’ITALIA IN EUROPA

Fa riflettere il comunicato del commissario per la coesione e le riforme Elisa Ferreira: “L’Italia è stato il primo paese a chiedere aiuto al Fondo di solidarietà dell’UE in questo contesto”. Nelle prossime settimane dovrà fare arrivare la documentazione a sostegno della sua domanda di finanziamento, ma siccome non sarà l’unico paese a farlo dovrà attendere le richieste degli altri 27 che eventualmente volessero accedere a quel fondo, che sono possibili fino al prossimo 24 giugno. La Ferreira ha fatto capire che l’Italia è con l’acqua alla gola, ma non avrà alcun vantaggio ad avere fatto quella richiesta per prima, perché “la Commissione tratterà tutte le domande in un unico pacchetto, non in base all’ordine di arrivo. Ciò garantisce che le risorse disponibili vengano distribuite in modo equo tra tutti gli Stati membri più colpiti da questa emergenza sanitaria”. Giusto per non nutrire grandi illusioni, la somma disponibile per tutti i 27 paesi membri nel 2020 è di 800 milioni di euro, che significa in media un po’ meno di 30 milioni a testa per pagare la fornitura di assistenza medica e l’acquisto di attrezzature mediche, il sostegno ai gruppi vulnerabili, misure per contenere la diffusione della malattia, rafforzare la preparazione e altro ancora. Forse Italia e Spagna possono ambire a qualcosina di più, perché obiettivamente stanno peggio degli altri. Sulla carta potrebbero ambire anche al doppio di quella somma (60 milioni di euro), ma dipende perché nel concetto di equità della distribuzione dei fondi conta sia la drammatica situazione attuale che il ricorso storico agli aiuti di quel fondo (chi l’ha utilizzato di più deve fare spazio agli altri). E siccome fin qui finanziava la ricostruzione post terremoto e alluvioni, l’Italia era un cliente fisso: dal 2002 ha attinto 2,8 miliardi di euro (1,2 per il solo terremoto del centro Italia del 2016), ed è il paese che ha avuto di più. Al secondo posto c’è la Germania che ha ottenuto un miliardo, al terzo posto la Francia con 252,6 milioni di euro mentre la Spagna per sua fortuna ne ha avuti solo 34,2 milioni.

La realtà è ben diversa dalla selva di bugie sparate a raffica da Palazzo Chigi e dintorni in queste settimane. Come quelle sui 75 miliardi di aiuti varati, o dei 400 miliardi di liquidità concessa alle imprese. Dei 75 miliardi un decreto ne ha stanziati 25, ma in 40 giorni, e di quella somma ne è stata erogata davvero nemmeno una decina di miliardi di euro. Tre quinti mancano ancora all’appello e non si sa se arriveranno. Gli altri 50 miliardi di euro sono previsti nell’annunciatissimo decreto aprile, che è già trasvolato al mese successivo.I 400 miliardi di liquidità si sono rivelati aria fritta, perché qualche centinaio di partite Iva e microimprese ha sbloccato in banca il finanziamento da 25 mila euro ma  nessuno ha chiuso le pratiche per somme superiori che prevedono le classiche istruttorie sul merito di credito.

RISATE EUROPEE

Il programma televisivo tedesco più importante, ARD, rileva: “Conte sta raccontando balle agli italiani su come sono andate veramente le cose al vertice europeo. Peccato che molti ci credano. Lo strumento del Recovery Fund è al momento solo oggetto di discussione tra i 27 Paesi della UE. Non adesso, comunque, ma da attivarsi nella migliore delle ipotesi a partire dalla fine del 2020. Si tratterà soprattutto di prestiti. Di aiuti a fondo perduto – come stanno facendo Usa, Giappone e Gran Bretagna – nemmeno l’ ombra. Come funzioneranno questi prestiti ancora nessuno lo sa. L’unica certezza sembra quella che i 27 Paesi della UE dovranno versare una quota pro-capite e poi accedere al fondo cioè tramite somme di denaro da restituire. Un nuovo cappio al collo.”

Il giornalista del Finacial Times, Wolfgang Munchau, ha parlato di prestiti da attivarsi tramite la linea di credito di cui all’art. 122 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’ Unione Europea), cioè la possibilità da parte della Commissione Europea – in casi di “calamità naturali o di circostanze eccezionali” – di procedere alla concessione di un’assistenza finanziaria dell’ Unione allo Stato membro interessato. La fregatura per l’ Italia, anche se in Italia non se n’è accorto nessuno, sta nel terzo comma dell’art. 122 TFUE, lì dove è escluso l’ intervento della BCE a garanzia della predetta linea di credito: sono infatti vietati gli acquisti diretti di titoli di debito da parte della Banca Centrale Europea o delle banche centrali nazionali. La garanzia dovrà essere offerta da ciascuno Stato richiedente, esattamente come accade con il Mes, attraverso propri asset pubblici.

LA SINTESI

Il tanto discusso progetto di Recovery Fund sembra un cerino. Tutti idealizzano sul fatto che resti acceso, immaginando che possa scatenare un grande fuoco. Ma nessuno lo vuole tenere tra le mani per accenderlo. Così, quel cerino dall’Eurogruppo è passato al Consiglio Europeo che a sua volta lo ha girato alla Commissione europea. Quest’ultima avrà il gravoso compito di definire procedure e dettagli. Il quadro delle cifre oscilla tra i 540 miliardi e i trilioni di euro. In realtà i lavori della Commissione cominceranno senza sapere veramente su quali principi costruire. Quello che il Consiglio europeo ha deciso, è che genericamente il Recovery Fund sarebbe una misura necessaria per fronteggiare il crollo dell’attività economica in Europa, ma nessuno ha chiarito l’unico vero fondamentale dettaglio: quelli che saranno i meccanismi di finanziamento. Supponiamo che Germania e Italia, attraverso la Commissione, raccogliessero 100 euro sul mercato in Recovery Bond “comuni”, e all’Italia venissero assegnati fondi per 70 euro e alla Germania 30, da ripagare entro un certo periodo di anni. Se alla scadenza l’Italia faticasse a ripagare i 70 euro (più interessi), sarebbe la Germania a doversene far carico? Solo la presenza di responsabilità in solido permetterebbe di definire i Recovery Bond come vero debito comune.

Ecco perché sbandierare un grande successo quando non vi è nulla di definito è una sterile retorica miope.

Alla faccia dei cittadini.

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