Intervistato da SkyTg24, il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha rilasciato alcune dichiarazioni riguardanti l’applicazione ‘Immuni’, ormai nota per la presunta obbligatorietà (smentita) e per i problemi legati alla privacy.
L’ex vicepremier non si capacita delle polemiche: “in questo Paese ci facciamo geolocalizzare anche quando dobbiamo ordinare una pizza, ci facciamo geolocalizzare da tutti i social del mondo, ma ora facciamo una app, che è facoltativa e non prevede penali per chi non la usa, e scoppia la polemica sulla privacy”.
Il ministro si addentra in una spiegazione sul funzionamento di Immuni, prendendo però fischi per fiaschi. “Serve a permettere ad un cittadino di avere una segnalazione nel caso in cui stia per entrare a contatto con un positivo”.
Peccato che non sia affatto questo lo scopo dell’app. In primis, perché chi è positivo al Coronavirus (a prescindere dal fatto che abbia inserito su Immuni la sua condizione clinica) avrá sempre l’obbligo di stare a casa. E poi perché l’app serve ad avvisare gli utenti qualora abbiano avuto un contatto con una persona che successivamente si è rivelata contagiata. Immuni, e forse questo Di Maio non lo capito, non è in grado di fare previsioni.
L’applicazione sfrutta la tecnologia bluetooth, emettendo un codice identificativo anonimo che viene captato dagli altri smartphone in cui è installata l’app. Quando i dispositivi entrano nel raggio di azione di qualche metro, si ‘registrano’. Qualora un utente dovesse scoprire di esser stato contagiato dal Coronavirus, sarà l’applicazione stessa a segnalare la nuova condizione a tutte le persone entrate in contatto con lui. Non è altro che il principio del contact tracing, la cui funzione servirà a facilitare l’azione delle autorità sanitarie.
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