Per comprendere meglio il passato ricco di memorie, l’Associazione Culturale Sardinian Events, nel contesto dell’inziativa “Ottobre , mese della Cultura,” promuove, per sabato 22 ottobre un convegno dal tema “Maschere e Carnevali di Sardegna” con particolare dedizione al personaggio tipico de su Mustajoni di Portoscuso.
L’intervento della prof.ssa Emanuela Katia Pilloni aiuterà a ritrovare una pagina locale di tradizioni popolari uniche in tutto il territorio italiano. A moderare la serata sarà Pierluigi Montalbano, archeologo e direttore della Rivista Hone Bu con la presentazione di Leo Basilio Pusceddu, presidente dell’Associzione Culturale Sardinian Events. L’evento è patrocinato dal Comune di Portoscuso, Assessorato alla Cultura.
In ogni luogo della Sardegna, il Carnevale, comunemente chiamato Carrasegare, si svolge nel periodo che precede la Quaresima. Le celebrazioni dell’Isola contengono elementi atipici rispetto ai carnevali moderni. Nel mondo antico il Carnevale riscontra dei riti che hanno origine pre-cristiane con chiare funzioni della comunità agro-pastorale. Terminato l’inverno la festa aveva inizio con dei grandi fuochi dove si praticavano orge primitive, si mangiava e si beveva il vino novello. Nel corso della dottrina cristiana, la chiesa tentò di abolire i culti pagani vietando i riti cruenti e l’utilizzo della maschera con teste di animali soprattutto quella con le corna perché simile al diavolo. Inoltre, la Chiesa si appropriò di luoghi sacri pagani ribattezzando i nuraghi, le tombe e i villaggi dando il nome di santi cristiani e spesso costruendo sopra chiese o santuari.
Alle celebrazioni propiziatorie fu cambiato il senso e il 17 gennaio, in cui si accendevano i falò per la fine del periodo freddo, fu dedicato a Sant’Antonio Abate, il prometeo cristiano sceso agli inferi per portare il fuoco agli uomini. Ma la Chiesa non seppe raggiungere le zone isolate, tanto che alcuni riti si sono conservati mantenendo nei carnevali gli elementi della tradizione nel festeggiare tra il giovedì e il martedìgrasso con abbondanti banchetti di lardo e fave, dolci tipici, buon vino.
Dagli studi condotti, il Carnevale di Sardegna viene provato nel culto di Dionisio, il dio bambino nelle misteriose rappresentazioni dell’Isola e del mediterraneo. Sardinian Events ha raccolto testimonianze orali tenendo conservata una documentazione per poter capire il significato e soprattutto comprendere perché l’usanza di vestire a Mustajoni portava tutta la comunità a travestirsi e festeggiare il carnevale con un rito che, verosimilmente ci porta ad associare la nostra memoria alle consuetudini di altri paesi del basso Campidano e soprattutto di alcuni paesi della Sardegna che rispecchiano analoghe usanze ( bestiri a Mustayoni). “Il tipico costume de Mustayoni, riportato oralmente dalle persone più anziane del paese,– commenta Leo Basilio Pusceddu, – ci induce ad associare la traduzione del vocabolo “bestiu a Mustayoni” che in italiano viene tradotto “vestito come uno spaventapasseri” ovvero con un acconciato, rattoppato di pezze proprio come quello dei fantocci disposti tra i filari per allontanare gli uccelli dai grappoli d’uva. Bisogna precisare che la condizione culturale del tempo non permetteva di capire l’origine di questa maschera. La comunità era più attratta dal folklore della festa perché trasportata a divertirsi lungo le vie del borgo dei pescatori degustando is zippulas e sorseggiando del buon moscatello”.
Lo storico Alberto Massaiu afferma: “Noi sappiamo per certo che Dioniso aveva numerosi dei suoi altari nelle selve, nelle fonti e in luoghi inaccessibili. Sappiamo che si manifestava spesso in forma caprina o di cervo e che in Sardegna una divinità di quel tipo si chiamava Maimone, almeno fin dall’epoca nuragica (mamuthone, mamutzone, mustayone) ed era legata alla forza virile e alla fecondità. Io ho tratto alcune conclusioni per me affascinanti, ma non mi arrogo il diritto di dire che queste sono le verità rivelate”. Il culto era diffuso in tutte le società agrarie del Mediterraneo e successivamente Dionisio divenne il dio dell’ebrezza e dell’eccesso, e in questo senso veniva indicato con l’appellativo di “Delirnte” o “Selvaggio”. Il suo culto in Sardegna è arrivato con i Greci e i Micenei. I sardi gli diedero un nuovo nome: Zorzi, Giorgi, ma soprattutto Maimone, Mamutzone, Mustajone”.
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Emanuela Katia Pilloni, 49 anni.
Laurea in lettere classiche, master di secondo livello e diploma di specializzazione biennale post-laurea.
Archeologa presso il Comune di Quartu, docente di lettere e divulgatrice scientifica. Collaboratrice dell’Università della Terza Età di Quartu Sant’Elena.
Assessore in carica alla cultura, istruzione, sport, turismo e agricoltura presso il Comune di San Sperate.
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Is Mustajonis nel Sud della Sardegna
DOMUSNOVAS
Su mustaioni è un’antica maschera che probabilmente rappresentava Maimone, demone o genio delle acque, o la vittima sacrificale a lui offerta per propiziare la pioggia. Questa maschera è presente in altri paesi della Sardegna, in alcuni dei quali viene chiamata mamuthone, mamutzone o mamussone. A Domusnovas per farla rivivere i ragazzi indossano gli abiti da lavoro dei genitori, nascondono il volto con un bavaglio bianco e coprono il capo con un fazzoletto ed un cappellaccio. Per tutto il Carnevale “is mustaionis” vagano per le strade del paese e, bussando alle porte, chiedono “zippuas” (zippole), al grido di: “Cumbidais?”(offrite qualcosa?).
SESTU
I Mustayonis di Sestu sono anch’essi espressione del mondo agrario, perché nonostante la banalizzazione del significato etnologico del termine e del ruolo a cui questa figura antropomorfa era originariamente preposta, ancora oggi il “Mustayoni” sta a simboleggiare un fantoccio che si pone nei campi a salvaguardia del futuro raccolto al quale, oltre al banale compito di guardiano prescelto per spaventare gli uccelli, gli è attribuita una funzione magico-scaramantica e propiziatoria contro le carestie, gli spiriti maligni e il malocchio. “S’Orku”, il misterioso personaggio “imbrigliato nella fune dei “Mustayonis” è invece la vittima sacrificale predestinata, probabile retaggio di un arcaico rituale atto a propiziare fertilità e abbondanza. La rappresentazione de Su Jù cun is Carrogas riesuma un antico rituale della cultura contadina incentrato sull’aratura a scopo propiziatorio, che viene minacciata dalle cornacchie, quali simboli maligni che attentano al raccolto. I Mustayonis muniti di campanacci e pertiche in canna (zaccarredas) cercano invece di proteggere il seminato generando un forte rumore a scopo apotropaico, per allontanare i malefici uccelli ed esorcizzare qualsiasi entità maligna che possa danneggiare il prodotto.
SILIQUA
Nei giorni del Carnevale, si soleva mascherarsi a Mustayoni, cioè gli uomini da donna e le donne da uomo, con il volto coperto in modo da essere irriconoscibili. Così vestiti, andavano insieme in giro per il paese a fare scherzi, a rubare le zippole, a bussare alle porte chiedendo: si ndi donant zipueddas? (ce ne date zippole?). La sera, di solito, ci si riuniva al Monte Granatico o in casa di amici e parenti per ballare. La tradizione vuole che nella sfilata il Mustayone simboleggi il Carnevale e alla fine del carnevale veniva bruciato. Fino a poco tempo fa, prima di condurlo al rogo, veniva fatto il processo sentenziandolo per le gradevoli vicende successe nel corso dell’anno precedente. Il falò rimane un segno purificatore dell’inverno che è terminato e per la nascita della nuova natura.
TEULADA
Le attività culturali organizzate per le feste tradizionali ritornano a rivivere nel cuore della gente che ha aiutato a mantenere vivo il ricco patrimonio delle feste. Anche a Teulada tornano in auge le tradizioni del passato. Comune e l’Associazione Pro Loco propongono manifestazioni di rilievo; una festa molto viva è quella del carnevale dove tutta la popolazione partecipa con canti e balli in maschera. Nel paese i carri allegorici e la gente vestita in maschera passano lungo la via principale con l’invito a degustare le zeppole del carnevale poi tutti in piazza attorno al grande falò de is Mustayonis.
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