CAMPOBASSO – Antonella Presutti, scrittrice molisana, ha pubblicato “Il rianimatore” (Arkadia Editore, collana SideKar, pp.202, 15 euro). Nel Rianimatore della Presutti si dipana un romanzo corale, un racconto che è un profondo respiro di terra in un continuo equilibrio tra carne, dolore, disperazione, violenza, cicatrici, ferite aperte. A fare da contrappeso il desiderio di salvare. Di salvarsi.
La sottile linea di luce, di riscatto, è insolita. Sono piante dimenticate, in fin di vita, calpestate e, peggio di tutto, abbandonate all’indifferenza. Come le mille vite che prendono corpo a Petare, il barrio di Caracas in cui è ambientato il romanzo. Petare, luogo vero, è senza mezzi termini un posto terribile. Tra i peggiori al mondo in cui avere la sventura di nascere, trovarsi e perfino morire. È un posto in cui “è più facile comprare una pistola che un pezzo di pane”, in cui “è pericoloso insistere sull’identità delle persone” e dove le assenze hanno significati precisi: “Quarantotto ore sono accettabili, una settimana” equivale “a morte certa”. Salvo l’illusione che qualcuno “ce l’abbia fatta”, scappando via.
La prosa complessa, evocativa, di Antonella Presutti, restituisce un abisso di disperazione e disillusione in cui personaggi sono lacerati, si muovono e pensano come belve, confessano orribili peccati. Il Rianimatore, come voce narrante, lo conosciamo soltanto alla fine. Eppure è nelle parole di chi lo precede che la storia di Pablo prende forma. Nelle parole di Helena, Rodriguez, George, si materializzano le figure di Diego/Henrique e di Maria, vitali per Pablo. Maria è un nome finto ma la sua è l’unica storia vera del romanzo. Quella che ha fatto scattare nell’autrice questo affresco a più voci.
È una donna italiana che nella sua terra, la Liguria, aveva tutto. Compreso un destino predeterminato. La sua rovina è la fuga in Venezuela con un marinaio che le promette il mondo ma la trascina in un contesto di degrado e violenza. Senza via d’uscita. A nulla serve il pentimento della sventurata, la famiglia rinnega Maria. Poi prende corpo il romanzo. Un lutto parzialmente la libera. E in Diego e Pablo recupera quel poco che ancora ha di sé.
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