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Addio ad Antonello Ottonello, artista poliedrico e maestro di umanità

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“Il mio passato mi dice chi sono, da dove provengo, chi erano i miei genitori, i miei fratelli, i guai che mi hanno accompagnato dalla nascita, chi sono diventato; l’avvenire mi dice che c’è tutto un universo che aspetta di essere scoperto, un oceano di possibilità creative che so essere realizzabili, un’unità tra me e il prodotto delle mie mani”.

Con queste parole, Antonello Ottonello, chiudeva la quarta di copertina del libro “Otto dialoghi e a capo” scritto insieme a Maria Angela Sanna, un piccolo assaggio dell’uomo, capace di trasformare la sua vita in una rocambolesca pièce teatrale durante i suoi racconti.

Ottonello era un artista a 360°: pittore, scenografo, creatore di installazioni e, con mia grande sorpresa, attore. Ricordo ancora quando, a casa sua, mi mostrò alcune riviste sulle quali appariva in abiti di scena; erano gli anni ’70 e all’età di 26 anni iniziava la carriera sotto uno dei più importanti registi di teatro d’avanguardia, Mario Ricci. “Volevo fare lo scenografo. Recitare in teatro era la mia occasione per inseguire quel sogno”, confidò allora.

Nella sua arte non plasmava solamente opere ma veicolava messaggi, sempre attento a ciò che accadeva nella vita quotidiana in stretto legame con il mondo. Per questo le sue mani erano il mezzo con il quale esprimere quel flusso interiore mai dissipato, alla ricerca costante di materiali in grado di esprimere sia il messaggio che le sue origini: la terra sarda.

La terra come luogo che diventa elemento sulla tela; le spine d’Acacia che trafiggono e allo stesso tempo tengono unite due estemità; la pietra ricercata come materia inerte che prende vita. Per le sue opere, ricava ciò che serve dalla natura, dalla terra, così come accade per il ciclo di opere dedicato al Sulcis Iglesiente: il paesaggio minerario come narrazione e come elemento da fissare nei suoi quadri.

Nella sua arte resta forte la contaminazione col mondo del teatro, sia come costruzione visuale sia negli elementi che abitualmente venivano utilizzati nelle scenografie; la garza, utile per compattare il polistirolo, nei quadri di Ottonello può diventare paesaggio marino fatto da onde, grazie a quell’abile espediente che ricade sotto il nome di camouflage.

L’eredità che Antonello Ottonello lascia al mondo della cultura non è meramente artistica, per quanto le sue opere andrebbero studiate e insegnate nelle accademie. Resta il suo lato umano, raffinato attraverso la carriera di insegnate, dove tra aneddoti e lezioni aveva trovato la via per far crescere futuri uomini e donne capaci di trarre la miglior ricchezza dalle proprie capacità e dalla forza dell’arte. Perchè l’arte, come confidò lo psichiatra Paolo Crepet, ha anche il potere di “placare” gli animi più turbolenti. 

Tra questi animi turbolenti c’è pure il mio, che per “colpa tua” e delle tue intuizioni ho deciso di intraprendere gli studi di Storia dell’Arte, per poi ritrovarti casualmente  in un corso di alta formazione e ringraziarti. Hai acceso in me una luce come fece Caravaggio con “La vocazione di San Matteo” alla fine del ‘600. 

Arrivederci prof. Ottonello.

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