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Paolo Ruffini, la sua intervista al Social World Film Festival

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L’attore comico, il regista e conduttore televisivo Paolo Ruffini è stato uno degli ospiti dell’undicesima edizione del Social World Film Festival, la kermesse del cinema socialmente impegnato che ha luogo nella città di Vico Equense. Ruffini ha concesso ai nostri microfoni una lunga intervista in cui ha esposto la sua opinione su diverse tematiche sociali e in cui ha parlato dei suoi progetti.

Che messaggio ha voluto lanciare con il suo documentario “Up&Down – Un film normale?”

“Questo progetto nasce da una consapevolezza: non esiste la diversità perché non esiste la normalità. Tante volte coloro affetti da disabilità vengono appellati come “persone speciali” ma io non sono d’accordo. Uno dei ragazzi down con cui ho lavorato mi ha detto che non ha nulla di speciale, è assolutamente normale e uguale a tutti noi. Mi sono reso conto che queste persone, inoltre, hanno un rapporto con la felicità molto più intimo e diretto perché si accettano così come sono e non hanno bisogno di mediare con le convenzioni sociali. Danno del tu alla vita e ciò mi entusiasma molto. Io sono annoiato dalla normalità. Amo le persone fortemente imperfette e fragili”.

Nel suo lavoro quanto è importante essere spontanei?

“La spontaneità non esiste in questo momento storico – ha ammesso Paolo Ruffini – perché presuppone un margine di errore che oggi non ti puoi permettere. Se facessi una battuta sul cartone, domani mi scriverebbe l’associazione italiana cartoni offesa. Siamo un popolo di offesi, per questo non possiamo essere spontanei e siamo costretti a mutuare. Siamo in un periodo storico ridicolo, dove oggi si intende sottolineare chi è più diverso di chi. C’è lotta a capire chi ha più diritti perché più diverso rispetto ad altri. Il diverso lo stiamo ghettizzando anziché liberarlo – ed ha proseguito – Mike Bongiorno, ad esempio, oggi sarebbe in galera e perseguitato dalle femministe e dagli animalisti. Stiamo scambiando un’opera del ingegno con un’opera del pensiero. Chiaro che se io faccio un film su tutti quelli che hanno la camicia, io ce l’ho con quelli con la camicia. È un film! Oggi questa cosa non la capiamo perché vogliamo essere dei Super Io, pensiamo di essere chissà chi e invece siamo dei piccoli essere umani persi nel significato. Tutto quello che noi elogiamo da “Ultimo tango a Parigi”, Pierpaolo Pasolini, Tinto Brass, sarebbero impossibili, così come il programma “Non è la Rai”.

Lo youtuber Yotobi ha aspramente criticato il suo film “Fuga di cervelli”, nel quale lei ha debuttato alla regia. Come ha reagito alle critiche?
“Yotobi non è un recensore, un critico o un giornalista, è uno youtuber – ha chiosato – Il pubblico della nuova generazione pensa che la parola di uno youtuber vale quanto quella di un critico. Le recensioni a cui tengo sono quelle di Pino Farinotti e molti altri del settore. Yotobi ha fatto emergere una cosa molto interessante, però non lo ha fatto da critico, ma da personaggio, molto brillante. Tutto quello che lui diceva sono punti ovvi. Fuga di cervelli” è un film stravagante, di genere, scatenato – ha specificato – Risulta chiaro che quando mi viene detto che il mio è un film volgare, è come dire a Dario Argento che quel film fa paura. C’è una dicotomia importante: quello che uno chiama brutta figura, io la chiamo performance! Ad ogni modo – ha continuato ad argomentare – l’ho vissuto benissimo quel periodo, anche perché il film ha avuto un successo strepitoso. Mi ha fatto molta pubblicità Yotobi, gli devo molto. Per questo quando poi ha desiderato un chiarimento, sono andato volentieri e ammetto che è stata una bella discussione. Non è detto che se uno per lavoro fa lo scemo lo è davvero. Tantissimi artisti che realizzano prodotti leggeri vantano una grande cultura alle spalle, cito ad esempio Neri Parenti e Carlo Vanzina. Spesso chi fa l’intellettuale non lo è davvero”.

Nella tua carriera hai anche lavorato come doppiatore. Raccontaci come ti sei trovato in questo ruolo

“Io eseguivo dei doppiaggi umoristici a Livorno. Quando poi sono andato al doppiaggio vero come quello dei di cartoni animati per Disney, ho scoperto che fosse uno dei lavori più difficili da fare. Mi è risultato ostico perché sono approssimativo: improvviso molto e nel doppiaggio ciò non si può fare – e così Paolo Ruffini ha concluso – Ci sono delle caratteristiche, delle connotazioni vocali che vanno rispettate e per un distratto come me è stato un lavoro impegnativo, soprattutto per il film “Cattivissimo me”.

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