Roberto Lewandowski, attaccante del Bayern Monaco (e giocatore dell’anno),si racconta a The Player’s Tribune: “É il giorno della mia comunione, mio padre si avvicina al prete: ‘Ascolta, padre, potremmo iniziare una mezz’oretta prima e tagliare 10 minuti? Mio figlio ha la partita’. Lui tifava per me e disse incredibilmente: ‘Perché no, ci penso io’“.
“Nel 2006 giocavo nel Legia II, in terza divisione. Ero in scadenza e mi ero infortunato. Non mandarono neanche un dirigente a parlare con mia madre, andò la segretaria. Mi lasciarono andare, così andai al Znicz Pruszkow, un club piccolissimo. Quattro anni dopo mi voleva chiunque“.
“Quando vai a scuola ti ricordi solo dei prof cattivi. E Klopp con me lo è stato. Lui vuole solo studenti A+. Ma non si è mai dimenticato che prima che calciatori siamo umani. Dopo un weekend libero passato a bere, un trucco di noi giocatori per non far sentire l’alito che puzza di alcol è mangiare aglio la mattina. Entrò nello spogliatoio e iniziò ad annusare l’aria come un cane. Mi disse ‘É aglio’. Rimase in silenzio, mi guardò. Momenti lunghissimi. E scoppiò a ridere“.
“Mio padre è morto quando avevo 16 anni, avrei voluto parlare con lui di quelle cose di cui parli solo con un padre. Su come crescere, su come diventare uomo, avrei voluto chiamarlo a telefono: mi sarebbero bastati 10 minuti“.
“Come finisce il mio film? Io in macchina con mio padre che guarda fuori dal finestrino. Non mi conosce nessuno, parliamo di calcio, di scuola o di niente. Guardo gli alberi passare e mi eccito pensando a come segnerò. Questo è il mio miglior ricordo“.
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