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La Cina nega l’accesso alla squadra di dieci esperti dell’Organizzazione mondiale della Sanità, incaricata delle indagini sulle origini del coronavirus

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La Cina nega l’accesso alla squadra di dieci esperti dell’Organizzazione mondiale della Sanità, incaricata delle indagini sulle origini del coronavirus.

Due di loro erano in viaggio e sono stati bloccati, mentre gli altri avevano un piede pronto a decollare. Secondo l’OMS si tratta soltanto di un problema di visti non autorizzati anche se il direttore generale dell’organizzazione – Tedros Adhanom Ghebreyesus, di solito molto amichevole con Pechino – si è definito “deluso” dalla lentezza dell’iter.

Una portavoce del governo cinese ha spiegato come l’intero team debba “sottoporsi alle procedure necessarie per l’ingresso nel paese” e ha parlato di “discussioni in corso con le autorità”, lascando intuire dei contrasti più profondi.

Sembrerebbe un gioco delle parti dietro il quale emerge, ancora una volta di più, la grande tensione che circonda questa indagine dell’OMS. Pechino sulla carta afferma di esserne favorevole ma in pratica sta cercando in vari modi di ostacolare la ricerca.

Il dibattito sulle origini del virus è straripato dalla dimensione scientifica per assumere carattere politici. La dittatura comunista di Pechino, già di suo allergica a interferenze esterne, si è resa ancora più ostile alle critiche. Non dimentichiamo come, nel mese di luglio, a due tecnici dell’OMS fu impedita la visita a Wuhan.
Solo dopo settimane, al termine di lunghe contrattazioni, l’Organizzazione riuscì ad ottenere da Pechino l’autorizzazione a visitare la città del primo focolaio globale, ma con il vincolo che fossero gli esperti governativi a condurre le prime ricerche sul campo.

Nonostante l’annuncio del mese scorso, in cui l’OMS promise l’inizio delle indagini a gennaio, si scopre in queste ore che i ‘visti’ tarderanno. Ma non è tutto: subìto dopo l’atterraggio nella terra del Dragone, tutto il team si dovrà sottoporre a due settimane di quarantena.

Ad ogni modo la Cina continua con la propria campagna di disinformazione sulle origini del virus, cercando di sfruttare le note incertezze scientifiche per accreditare altre ipotesi sul patogeno. La linea scelta dal regime è che il Covid sarebbe arrivato a Wuhan dall’estero, attraverso dei prodotti surgelati importati.

Infatti, ogni nuovo focolaio che spunta in Cina viene sistematicamente ricondotto dagli scienziati e dalla stampa a questo canale. La narrazione logica dà allora grande risalto a tutti gli studi che retrodatano l’inizio dell’epidemia prima di quella ufficialmente riconosciuta dal regime, ovvero dicembre 2019.

Non a caso, la scorsa settimana, il ministro degli Esteri Wang Yi ha blindato questa posizione: “Sempre più ricerche suggeriscono che la pandemia è stata causata da diversi focolai in varie parti del mondo”. Quindi l’indagine sulle origini dovrebbe coinvolgere vari Paesi e non la sola MadrePatria. Tra i paesi in questione spicca anche l’Italia.

La comunità scientifica cinese sostiene che il passaggio del virus dagli animali all’uomo potrebbe non essere avvenuto a Wuhan, anche se non ci sono elementi di prova utili ad ipotizzare come il patogeno si sia sviluppato fuori dalla nazione. In ogni caso, siccome Wuhan è il luogo in cui la trasmissione di massa è stata rilevata per la prima volta, è normale che le indagini sulle origini abbiano inizio da lì.

Ma con questo atteggiamento, una ricerca difficilissima rischia di diventare (quasi) impossibile.

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