Oggi, ancora una volta, il mondo dell’arte si ritrova un po’ più orfano, come era accaduto il 29 Aprile con la dipartita di Germano Celant. Questa notte, all’Istituto dei Tumori di Milano ci ha lasciato il critico d’arte Philippe Daverio. Era uomo di cultura, non certo un accademico dal momento che, per sua stessa ammissione, non era laureato, però sapeva cogliere ciò che di importante c’era nell’arte: la bellezza.
Appassionato ex mercante d’arte, aveva fondato la Galleria Philippe Daverio a Milano prima (1975) e New York successivamente con la Philippe Daverio Gallery nel 1986, dando spazio prima alle avanguardie primonovecentesche e poi all’arte del XX secolo. È riuscito ad immergersi nel vasto mondo della cultura passando prima dalla conoscenza tangibile dei manufatti, per poi risalire la china delle correnti culturali, della storia e della trasversalità dell’arte come massima espressione umana del bello e dell’anima. Il suo modo eccentrico di vestire, un dandy ante litteram capace di abbinare le righe dei calzini con i pois del papillon, era un altro segno inconfondibile del suo essere cultore e appassionato dell’idea artistica, la scintilla che era la causa iniziale per giungere al manufatto concreto.
Sapiente divulgatore, ha diretto il magazine “Art e Dossier” ma soprattutto è riuscito nell’intento di portare nelle case degli italiani la cultura, spesso la Domenica all’ora di pranzo (Rai3), il momento topico della famiglia tipo italiana. In tanti si sono avvicinati a questo mondo grazie al suo essere artisticamente europeista, dal pensiero avanguardista con l’umiltà dello storico, sempre alla ricerca del trait d’union tra i movimenti artistici e la quotidianità dell’essere umano. Come docente e saggista, ha lasciato un “Passpartout” per aprire quello scrigno en plain air che era la sua Italia, sentita più come museo diffuso dove la tradizione fatta anche di cibo e vino, risaltava gli ingredienti giusti per disquisire di cultura tra amici.
Nella sua lunga carriera ha lasciato il segno anche in ambito politico, quando nella sua Milano ebbe un ruolo nella giunta Formentini del comune dal 1993 al 1997, dove ricopriva l’incarico di assessore con le deleghe alla Cultura, al Tempo Libero, all’Educazione e alle Relazioni Internazionali; grazie a lui si deve infatti la ricostruzione del Padiglione d’Arte Contemporanea distrutto a seguito dell’esplosione della bomba nel 1993. L’ultimo pensiero, oggi lo dedico a quelle parole che mi disse una delle tante volte che lo incontrai di persona: “sai come si chiama il rapporto tra i numeri e il cosmo? si chiama armonia!”(mentre parlavamo dell’Opera lirica Turandot). L’armonia che solo l’uomo nato in Alsazia da padre italiano e madre tedesca poteva raccontare unendo l’Italia da nord a sud collegandola con il resto d’Europa.
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