Costume e societàPrimo Piano

Emergenza in Italia: Medici, Infermieri e Insegnanti sotto attacco tra aggressioni e minacce

Condividi

Infermieri, medici, insegnanti. Spesso leggiamo sulle prime pagine dei quotidiani, tra le notizie di cronaca in primo piano, per le reiterate e violente aggressioni ai danni di professionisti la cui unica colpa è quella di fare al meglio il proprio lavoro. È il segnale di un paese marcio, malato, che non mostra più rispetto per chi educa e per chi si prende cura (al netto degli errori che, come esseri umani, possono compiere); dissentire o criticare sono ben altro dal picchiare, intimidire, sopraffare. Le istituzioni come consuetudine ormai necrotizzata, latitano (da anni). Intorno a noi, invece, rimbomba l’eco del pensiero unico che, come una coltre invernale, ricopre tutto; lasciando scoperto, ovviamente, un estremo, diventando preda di facili reazioni di pancia alle sollecitazioni scaturite dallo sconforto di sentirsi indifesi, calpestati e a rischio.

Quando una società mette nel mirino sanità e scuola, significa che le basi della stessa vengono a mancare in favore di una gretta e cieca propensione alla prevaricazione: spesso non vi sono motivazioni estrinseche valide per giustificare tali violenze. In realtà, nulla di tutto ciò può essere giustificato. È palese a tutti che la congiuntura storico-politco-sociale sia delicata e, di riflesso, istruzione e medicina sono i primi a subire momenti (più una lunga fase) di scoramento, difficoltà, mancanza di mezzi e, talvolta di persone; ergo, di riflesso, quando medici, infermieri ed insegnanti si trovano a dover lavorare con mezzi non sempre adatti, vengono a trovarsi in un limbo, tra l’incudine (lo stato che opera tagli) e il martello (i cittadini che chiedono cure ed istruzione anche con le maniere forti).

Quindi, come possiamo districare questo enorme nodo gordiano venutosi a creare? A noi giornalisti l’arduo compito di dare voce a coloro i quali, nei ruoli apicali della società, indicano le vie maestre da seguire, le ricette valide per poter sanare questa grossa frattura venutasi a creare nella società italiana, e non solo. Ma non sempre alle parole seguono i fatti, forse perché attuare certe strategie presuppone uno stravolgimento dello status quo, un capovolgimento che rischierebbe di generare dei cortocircuiti più deleteri che proficui. E allora? Stiamo fermi e aspettiamo? Anche questo è un film già visto, la tecnica dello struzzo: testa sotto la sabbia e tiriamo a campare, probabilmente una delle concause di questa escalation di violenza.

Per questo, proviamo ad azzardare un percorso in 5 punti per invertire la rotta.

    1. Partiamo dall’educazione e dal rispetto reciproco, indipendentemente dalla ragione. Io ti rispetto, resto della mia idea, ma accolgo il tuo pensiero (forse rileggere Kant non sarebbe male, eh!) e faccio in modo che questo porti ad un risultato per tutti.
    2. La sanità, la scuola, le aiuole, le piazze o l’arredo urbano sono beni della collettività, appartengono a tutti anche se in forme diverse. Noi siamo parte della collettività, siamo i primi fruitori di questi beni, trattiamoli con cura ricordandoci che ne traggono giovamento anche altri: non sono oggetti ad uso e consumo personale. In sintesi, sono la res publica da lasciare in eredità alle future generazioni, insieme agli esempi virtuosi, non una proprietà privata.
    3. Leggere il Leviatano di T. Hobbes (e capirlo! O farselo spiegare), soprattutto quando descrive la fase in cui si parla di Bellum omnium contra omnes, dove ogni individuo verrebbe mosso dal suo più recondito istinto che lo porterebbe a danneggiare gli altri eliminando chiunque sia di ostacolo al soddisfacimento dei propri desideri. Sembra un discorso attuale!
    4. La violenza non risolve, l’intelligenza si: usiamola. Se poi aggiungiamo empatia, cura del prossimo e desiderio di cambiamento, abbiamo trovato la via per iniziare ad abbattere i muri che abbiamo costruito per creare una comfort zone dalla quale non vediamo la realtà cosi come è.
    5. Iniziare un percorso di “Rivoluzione Umana” come elaborato da Josei Toda, insegnante giapponese, filosofo buddista, ossia quel processo fondamentale di trasformazione interiore attraverso il quale ci liberiamo dalle catene del nostro “piccolo io”, imprigionato dall’ego e dall’autoconsiderazione, e accresciamo l’altruismo del “grande io” capace di preoccuparsi e di agire per gli altri e, in ultima analisi, per l’umanità intera.

Un giorno, non troppo lontano, il nostro esempio sarà l’unica azione concreta rimasta per provare a dare un nuovo corso ad una società alla sbando: il bivio in cui ci troveremo non ammetterà errori. Per questo, dovremmo trarre una seria lezione dal mestiere più antico del mondo: l’insegnamento. Da quando esiste l’uomo esiste l’insegnamento, ognuno di noi nel proprio piccolo con parole, gesti e pensieri mostra, quindi insegna, ai più giovani come comportarsi; insignare, in latino, vuol dire  «imprimere segni (nella mente)»: sta a noi imprimere nella mente delle future generazioni (e non solo) il rispetto, il dialogo, la pace e il coraggio di prendersi cura degli altri, senza un secondo fine.

Comment here