ROMA – «Il rapporto tra pianificazione di Protezione civile e pianificazione territoriale è quasi inesistente, malgrado sia previsto dalla legge […] occorrerebbe ricondurre la gestione del rischio in un sistema di normalizzazione e fare confluire i contenuti del Piano di Protezione civile nei processi “ordinari” della pianificazione territoriale». È intorno a questa constatazione, alla necessità di mettere in sicurezza i territori e prevenire, per quanto possibile, i danni causati dai disastri atmosferici sempre più frequenti e sempre più improvvisi, che si sviluppa la conversazione tra Nello Musumeci, ministro per la protezione civile e le politiche del mare e il giornalista abruzzese Giuseppe Caporale, autore del fortunato libro-inchiesta «Ecoshock». Ne viene fuori un libro-intervista divulgativo e di piacevole lettura: «Gli italiani e i rischi naturali. Perché la prevenzione ci può salvare» (pp. 116 – € 10), dalla prossima settimana in libreria per Rubbettino.
Quando si parla di prevenzione però non si deve pensare unicamente all’azione del Governo: «In Italia – osserva Musumeci – la gran parte dei cittadini assume una condotta passiva, considera la tutela dal rischio naturale solo un obbligo da parte dello Stato. Che deve proteggere e rimborsare dopo ogni evento estremo. Dopo una calamità, tutti sono a chiedersi: cosa fa lo Stato per me? Ma nessuno si chiede: cosa ho fatto io per la sicurezza mia e dei miei beni? Ho realizzato la mia casa con criteri antisismici? Ho costruito l’abitazione lontano dal pericolo dei fiumi e delle faglie? Ho assicurato i miei beni contro i rischi naturali? Ho imparato le buone pratiche di prevenzione? Nulla di tutto questo! E poiché lo Stato, presto o tardi, è intervenuto sempre, il cittadino non si è mai sentito corresponsabilizzato. E così il “dovere civico” continua a rimanere un arnese fuori uso».
Anche perché, a fronte di risorse non infinite, si pone un problema di sostenibilità dal momento che certi fenomeni non sono più eccezionali come un tempo. «Secondo il Censis-Confcooperative – ricorda Musumeci – negli ultimi quarant’anni il costo dei soli disastri climatici in Italia sarebbe arrivato a 210 miliardi di euro. Il costo dei danni in Italia è calcolato da altri attorno a tre miliardi e mezzo di euro l’anno. E la tendenza appare sempre più in crescita. È come se tutte le risorse del Pnrr fossero state destinate a riparare i danni delle calamità».
E proprio sul «riparare i danni» si sofferma a lungo Musumeci nel libro, ben consapevole dei tanti scandali, ritardi e inefficienze che spesso si sono sommati agli effetti dei disastri, unendo la beffa al danno subito dalle vittime. Tra le cause principali di questa situazione il Ministro individua «un quadro giuridico nazionale poco organico, frammentario, stratificato nel tempo, differenziato per territori e in continuo divenire».
Bisogna allora intervenire anche dal punto di vista giuridico e istituzionale, affidandosi a istituti e strutture stabili e non soggetti alle logiche dell’emergenza. Tra queste Musumeci indica il Codice della ricostruzione, «una legge multirischio per normare le attività del processo di ripartenza, dopo un evento calamitoso, con norme finalizzate a definire un quadro giuridico uniforme per il coordinamento delle procedure e delle attività successive a quelle che svolge nella prima fase la Protezione civile nei territori colpiti […] E soprattutto – continua il Ministro – la previsione di un apposito Fondo per le ricostruzioni». La gestione del processo andrà affidata, secondo Musumeci a «un commissario straordinario che sia “uomo del fare”, competente e dinamico».
Un libro insomma ricco di progetti concreti per il prossimo futuro in cui il Ministro Musumeci, incalzato da Giuseppe Caporale, parla fuori dai denti con parole chiare e lontane dal “Politicamente corretto”. Un libro dal quale emerge soprattutto l’urgenza di una cultura della prevenzione che prenda il posto della cultura dell’emergenza che ha finora governato l’intervento pubblico in materia di protezione civile.
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